mercoledì 14 agosto 2013

Amerikani e spaventapasseri


Noise from Amerika (nfA) è un blog gestito da un gruppo di economisti italiani, che vivono o lavorano (o l’hanno fatto in passato) negli USA. Diversi di loro hanno partecipato al progetto politico di Fare – Fermare il declino.
 
Il 10 agosto scorso è uscito su nfA un post di Tommaso Monacelli, preannunciato come il primo di una serie destinata a smontare le tesi dei propagandisti anti-euro, o più precisamente a confutare le tesi di chi sostiene che l’euro è all’origine della pessima situazione odierna dell’economia italiana.
 
Tommaso Monacelli è definito da un altro blogger di nfA (Alberto Bisin) come “persona che di economia internazionale ne sa più di qualunque altro in Italia”.
 
Ho letto quindi il post con interesse. Un primo commento che farei a Monacelli (sono quei suggerimenti un po’ retorici, che essendo non richiesti difficilmente vengono seguiti dal destinatario, ma comunque…) è di scrivere in un linguaggio meno “iniziatico”. E’ mia personale convinzione che la matematica e le formulazioni teoriche, con ampio utilizzo di modelli, regressioni, causazioni, multivariazioni, bivariazioni e quant’altro, sono sicuramente utili per elaborare e validare ipotesi.
 
Ma se poi, arrivati a una conclusione, non si è in grado di tradurla in un linguaggio corrente, comprensibile senza grandi difficoltà a un profano di media intelligenza, media cultura, e un po’ più che media volontà di applicarsi, non si è raggiunto un gran risultato sul piano della divulgazione. E, peggio ancora, si corre il rischio di formulare affermazioni magari corrette e coerenti nell’ambito di un modello astratto, ma che risultano poi slegate dalla realtà quotidiana. Perché l’economia E’ realtà quotidiana.
 
Detto questo, la cosa che più mi ha stupito del post di Monacelli è che si tratta di un classico “argomento dell’uomo di paglia”, o dello “spaventapasseri” (straw man argument). Cioè, come da definizione wikipedia, di un “argomento fallace che consiste nel confutare un (altro) argomento riproponendolo in maniera errata”.
 
Monacelli dedica il post a smontare la tesi che l’ingresso dell’Italia nell’euro sia stato l’origine del declino di crescita della produttività (in termini assoluti e ancora di più relativamente alla media dell’Eurozona) che ha afflitto l’Italia a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. In quanto, a suo dire, i “propagandisti anti-euro” sostengono che questo è stato il meccanismo tramite il quale l’euro ha esercitato i suoi effetti nocivi.
 
Ora, i “propagandisti anti-euro” naturalmente sono non una ma molte persone, e questa affermazione da qualcuno sarà magari anche stata fatta. Il punto però è che la tesi a mio parere corretta, e formulata dalla maggior parte di questi “propagandisti” (me compreso) è un’altra.
 
Quello che non ha funzionato nell’euro è che alcuni paesi (la Germania in primo luogo) hanno migliorato la loro competitività (costo del lavoro per unità di prodotto) rispetto ad altri (tra cui l’Italia). Nel passato, il riallineamento dei cambi produceva la rivalutazione di marco tedesco, fiorino olandese ecc. rispetto alle valute del Sud Europa e impediva la formazione di sbilanci commerciali cronici.
 
In regime di moneta unica, gli sbilanci si sono invece accumulati e hanno creato surplus finanziari crescenti al Nord, e un peggioramento sistematico della posizione finanziaria del Sud verso l’estero. A un certo punto, complice naturalmente anche la crisi finanziaria mondiale che nel 2008 ha raggiunto l’apice con il fallimento Lehman, si è creato il dubbio che gli accumuli di debito del Sud Europa rischiassero di diventare insostenibili, portando il Sud al default oppure all’uscita dall’Eurozona (che avrebbe prodotto la svalutazione delle sue monete e anche dei crediti del Nord Europa verso il Sud).
 
Ora, è stata determinante in tutto questo la minor crescita della produttività italiana ? no. Nel senso che tutto quanto sopra sarebbe avvenuto anche se il rallentamento non ci fosse stato. La maggior disciplina salariale tedesca rispetto al Sud Europa, fenomeno che non nasce certo con l’euro – esisteva anche negli anni 60, 70, 80 e ha infatti prodotto la sistematica rivalutazione del marco – avrebbe comunque causato effetti analoghi.
 
All’origine dell’equivoco apparentemente c’è questo articolo, in cui Alberto Bagnai esprime il sospetto che effettivamente l’euro abbia inciso negativamente sulla produttività italiana. Cosa che a intuito mi pare plausibile. Se perdo competitività (non perché sono meno bravo a migliorare la mia produttività intesa come unità fisiche prodotte per ogni unità di lavoro utilizzato, ma perché sono meno efficace nel contenere i salari) perdo quote di mercato. Le mie aziende crescono di meno, guadagnano di meno, hanno meno risorse da investire in innovazione e questo retroagisce (negativamente) sulla produttività.

In realtà lo stesso Bagnai non arriva a una conclusione perentoria. Si limita a constatare che quello che è cambiato, da fine anni Novanta in poi, è stato che l’Italia è entrata nell’euro.
 
Le aziende italiane faticano perché sono più piccole della media europea ? perché spendono meno in ricerca e sviluppo ? era così anche prima. Se poi realmente lo era, perché i distretti industriali italiani hanno sempre saputo sviluppare “economie di rete” (leggi supplire alla minore dimensione condividendo risorse e progetti). E fare sviluppo applicativo molto efficace, anche se non etichettato come tale (vedi il classico imprenditore progettista genialoide che è una sorta di dipartimento R&S one-man nelle aziende con poche decine di dipendenti).
 
Per cui: i problemi italiani dal lato della produttività possono anche essere causati da qualcosa di diverso dall’euro (anche se non è chiaro da cosa). Ma la disfunzionalità dell’euro è un'altra: l’assenza di meccanismi di flessibilità che compensino gli effetti di differenze di competitività, o di shock asimmetrici di qualsiasi tipo, che nell’arco di alcuni anni, inevitabilmente, si formano tra paesi economicamente disomogenei ma legati da un sistema di cambi fissi (o da un’unione monetaria).
 
Se Monacelli vuole “confutare Bagnai” e trovare un meccanismo che eviti il break-up dell’euro, ma anche la depressione permanente del Sud Europa, deve prendere atto che la mancanza di flessibilità della moneta unica, così com’è oggi, è IL problema.
 
E sostenere proposte di interventi che lo risolvono: che esistono (e gli euro-exiters duri e puri alla Bagnai commettono qui, sì, un errore: di intestardirsi a non vedere altre vie d’uscita che non siano il break-up).

13 commenti:

  1. bagnai sa che se chiedi l' uscita ti danno un nuovo sme ma se chiedi lo sme ti danno la carota

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    1. Cioè punta al più per ottenere il meno ? Non mi torna perché ha sempre detto che chiedere a per ottenere B equivale a non dire alla gente come stanno le cose. Che è stata fin all'inizio - e qui sono d'accordo - l'imperdonabile matrice paternalistica di tutta la vicenda euro. Comunque i CCF non sono lo SME, sono una riforma che mette il sistema in condizione di funzionare senza le complicazioni organizzative e politiche (superabili, ma non banali) del break-up.

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    2. E allora il manifesto firmato per ottenere una dissoluzione ordinata dell' euro uno alla volta a cominciare dalla germania?COme lo spieghi ma possibile che si cerchino sempre dietrologie BAGNAI lo ha detto e ridetto e scritto ora se uno crede che menta può farlo ma...

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    3. Ma quello e' comunque un break-up, e' solo un modo diverso di attuarlo. Quello che Bagnai non capisce (sto a quanto ha scritto, e che trovi citato - e confutato - nel mio post del 9.2) e' che si possono ottenere gli stessi obiettivi senza "spaccare" l'euro.

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    4. E come mai allora fino ad ora non si sono ottenuti?Non ti viene il sospetto che quantomeno chi ha l' osso in bocca non lo molli? Dobbiamo uscire QUESTO è un fatto sul come è una questione da precisare meglio.

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    5. Sul fatto che bisogna uscire sono d'accordo ... ma perche farlo dalla porta principale, quella con il simbolo dell'euro, non noti i cannoni della finanza internazionale nascosti nelle siepi tutt'intorno.
      Io dico usiamo i CCF, sarà meno comodo ma a volte scavare un tunnel è il modo migliore per uscire di prigione.

      Giorgio S.

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    6. @Giorgio S.: anche perché come detto in varie occasioni (vedi per es. post del 9.4) il break-up va contro due importanti gruppi d'interesse - i creditori e l'industria esportatrice tedesca - i CCF no. Giusto o sbagliato che sia, mi pare che una soluzione più semplice e' da attuare, e meno lede interessi costituiti forti, più probabilità ha di essere applicata rapidamente.

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  2. Trovo l'analisi molto lucida e approfitto per fare una mia riflessione. Nel caso della Spagna e della Grecia (per esempio) la produttività non è stata stagnante come in Italia ma è cresciuta a velocità superiore rispetto alla Germania. Al contempo però in questi stati c'è stato un accumulo maggiore (rispetto a noi) di debito estero che ha portato al crack. Loro hanno avuto un afflusso di capitali esteri e crescita, noi no. Quindi non sembra così automatica l'implicazione "perdita di competitività"->"calo della produttività" nè l'implicazione "cambi fissi"->"afflusso di capitali". Che conclusioni dobbiamo trarre? Che la moneta unica causa problemi ma questi possono manifestarsi in più forme? Come si spiegano queste differenze così macroscopiche trai PIIGS? Forse l'Italia con le "riforme" ha tentato la strada deflazionista (compressione di salari, domanda, investimenti) seguendo l'esempio tedesco da una posizione svantaggiosa, mentre contemporaneamente Spagna e Grecia implementavano politiche espansive?

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    1. Sicuramente i problemi possono presentarsi in vari modi. Spagna e Grecia ante 2007 sono cresciute, grazie a una bolla di credito (immobiliare in Spagna, credito al consumo in Grecia), ma sono andati fuori controllo i salari. In Italia, forse proprio perche' la manifattura pesa di piu' e si percepiva che stava andano in difficolta', e quindi c'era riluttanza dall'estero a finanziare i deficit commerciali. Sono arrivati meno crediti ma non c'e' stata crescita, neanche prima del 2007. In un sistema monetario rigido, se perdi competitivita' o non cresci o esplode il debito estero. Notare i deficit commerciali cumulati dall'introduzione dell'euro a oggi: in Italia poco piu' di 200 mld - non tantissimo ma crescita ferma. In Grecia altrettanti in un'economia sette volte piu' piccola ! in Spagna oltre 700 mld - meta' di tutto il surplus della Germania ! Rimane vero che la variabile che consentiva di prevedere la crisi e' la perdita di competitivita' rispetto ai partner dell'unione monetaria. Sia se dovuta a stagnazione della produttivita', sia se dovuta a maggior crescita dei salari.

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  3. Non mi tornano le ultime tre righe. Bagnai sarebbe un "euro exiter" puro e duro..? L'appello che ha fatto con altri economisti europei non mi sembrava così ultimativo ( e questo è per me un suop limite). Le possibilità alternative all'uscita dall'euro ci sono in linea teorica (bisognerebbe che i trasferimenti fra le varie aree dell'eurozona si moltiplicassero parecchie volte: alcuni economisti su le Monde diplomatique (mi scuso ma non ho la citazione sotto mano)notarono che i trasferimenti all'interno degli Usa sono 50 volte superiori a quelli all'interno della Ue. ma impossibili in pratica. Come imporre alle aziende tedesche un forte aumento del loro carico fiscale a favore dei paesi più deboli? Non possono perché finirebbe la loro competitività. E poi, qualora l' Eurozona fosse così trasformata in un'area valutaria ottimale, resterebbe un'area dominata dalla libera circolazione dei capitali, cioè dalla dittatura del profitto quale indice unico della competitività delle economie: un criterio che non ha razionalità economica, come non lo aveva il criterio del "salario come variabile indipendente" di Tronti negli anni '70 (A.C.)

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    1. L'appello si riferiva comunque a un'ipotesi di break-up, solo che presupponeva l'uscita dall'alto (della Germania in pratica) e non dal basso (dei PIIGS). Organizzativamente piu' plausibile, politicamente ancora piu' improbabile. L'ipotesi di riforma senza break-up che vedo io non e' la transfer union (a cui non credo affatto), e' il progetto CCF... lo trovi descritto e discusso in tutto il resto del blog.

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  4. Chiaro, conciso, impeccabile, complimenti. Mi permetta solo un'osservazione: quando la casa brucia, e ti senti il fiato rovente del fuoco ormai sul collo, non stai a pensare come uscirne facendoti meno male possibile, esci e basta. Perché questa è la prima urgenza tanto per cominciare, sottrarti ad una fine terribile.

    Dopo, ma solo dopo che ti sei liberato dal fuoco, pensi a come ricostruirti una vita. Dopo...quando sei certo di aver salvato la pelle, condizione numero uno per avere ancora un avvenire.

    Tra il fuoco (fine sicura e orribile) e sottrarsi all'incendio in fretta prima di esserne travolti...be', decisamente meglio l'ultima. Salvato il salvabile resta solo la ripresa del cammino là dove si era interrotto, con ricostruzione di quanto distrutto dal fuoco.

    Solo però se si resta vivi, e per restare vivi bisogna agire il più rapidamente possibile lasciando le elucubrazioni filosofiche ad incendio passato.

    Altro che attendere (e fare così la fine della Grecia)!

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    1. Io pero' ritengo che la metafora della casa in fiamme non sia la piu' pertinente. Non c'e' una casa che brucia, dove ognuno ha la possibilita' di correre fuori e salvarsi - a costo di rompere il vetro di una finestra e ferirsi, o di buttarsi da un balcone e rompersi una gamba. E' diverso: c'e' una graticola sulla quale stiamo bruciando a fuoco lento. La temperatura e' salita a partire dal 2008, nel 2011 l'hanno aumentata.
      Chi puo' spegnere la graticola ? il vertice della classe dirigente, che non comprende me ne' (temo) lei. E perche' non viene fatto ? perche' la classe dirigente italiana non fa gli interessi nazionali, fa i propri. Quindi esegue gli ordini di potentati esteri, negoziando al meglio il compenso per se stessa. Allora, se non emerge una leadership che faccia gli interessi della nazione (tutto puo' essere, ma non la vedo) che cosa si puo' fare ? Far comprendere che da due anni in qua si e' presa una strada che in realta' non fa gli interessi di nessuno. Molti lo stanno capendo, in USA, in Cina, parecchi anche in Germania (non Merkel e Schaeuble, purtroppo, ma vediamo che cosa succede dopo le elezioni). E siccome i danni in Italia crescono per tutti, cresce la tariffa a cui le nostre elite sono disposte a vendersi. Proprio mentre scende il beneficio dei gruppi d'interesse esteri a comprarle... Possiamo fare qualcosa per accelerare questo processo ? si'. Non correre fuori dalla casa in fiamme, non saltare giu' dalla graticola. Individualmente, ne' io ne' lei possiamo farlo. Ma spiegare che il sistema monetario europeo e' riformabile, risolvendo tutti gli attuali difetti strutturali dell'euro, senza i costi organizzativi, psicologici, politici, d'immagine che il break-up produrrebbe. Questo e' l'obiettivo che, personalmente, mi pongo.

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