Qualche
settimana fa è circolato in rete questo grafico, elaborato da Riccardo Trezzi.
Come vedete
raffigura due eleganti curve, che mostrano come, partendo da inizio 2008,
l’andamento del prodotto nazionale lordo del Regno Unito abbia avuto un
andamento all’inizio simile a quello italiano, per poi discostarsi nettamente.
Il confronto per
l’Italia non è lusinghiero: se è vero che oltre Manica non hanno ancora
totalmente recuperato gli effetti della “crisi Lehman”, noi siamo parecchi
punti percentuali sotto.
Questi sono
fatti noti. Il motivo per cui il grafico è stato ampiamente commentato è però
un altro. C’è, chiaramente, un momento in cui le due curve si discostano.
Questo momento
non è il settembre 2008, quando con il fallimento Lehman si entra nel fase più
acuta della crisi finanziaria - e il Regno Unito reagisce svalutando fortemente
la sterlina.
E’ l’estate del
2011, quando entra nel vivo, invece, la crisi dell’euro, e parte una serie di
eventi (la lettera della BCE, la caduta di Berlusconi, l’avvento di Monti,
l’approvazione del fiscal compact) che danno il via alle misure di austerità
deflattiva tramite le quali, particolarmente in Italia, la crisi viene “affrontata”.
Un’interpretazione
superficiale è che la svalutazione della sterlina non ha fatto differenza e
che, di conseguenza, l’euro con la crisi italiana non c’entra.
Non è così.
Qui sotto
trovate l’evoluzione del rapporto deficit commerciale / PIL Italia e UK, e l’andamento
del cambio sterlina / euro ed euro / dollaro (dati FMI e tradingeconomics.com).
Si sono
aggregati i dati in tre periodi: gli anni precedenti alla “crisi Lehman”, da
inizio 2004 al settembre 2008 (Periodo 1).
Il periodo
successivo, dalla “crisi Lehman” fino all’inizio dell’”austerità deflattiva”
italiana – da ottobre 2008 a giugno 2011 (Periodo 2).
E la fase
successiva, da luglio 2011 a settembre 2013 (dato più aggiornato disponibile):
il Periodo 3.
I 2004
|
IV 2008
|
III 2011
| ||||
III 2008
|
II 2011
|
III 2013
| ||||
Deficit commerciale / PIL: UK
|
-2,9%
|
-2,0%
|
-2,0%
| |||
Deficit commerciale / PIL: Italia
|
-0,7%
|
-1,4%
|
0,7%
| |||
Cambio medio sterlina/euro
|
|
1,43
|
1,15
|
1,19
| ||
Cambio medio euro/dollaro
|
|
1,32
|
1,36
|
1,32
|
Nel Periodo 1,
il Regno Unito registra deficit commerciali, rispetto al PIL, mediamente pari a
-2,9%. Considerevolmente più vicina al pareggio commerciale è l’Italia (-0,7%).
A settembre 2008
scoppia la “crisi Lehman” e la sterlina accentua rapidamente la tendenza al
ribasso che si era cominciata a manifestare già nei mesi precedenti.
Il risultato è
che il cambio medio sterlina / euro scende di poco meno del 20% (da 1,43 a
1,15) tra Periodo 1 e Periodo 2.
In
corrispondenza con la crisi, l’euro scende a sua volta rispetto al dollaro, ma
si era fortemente apprezzato nei mesi precedenti. Se esaminiamo le medie di
periodo, il cambio euro / dollaro nel Periodo 2 non cala, anzi si rafforza
leggermente (da 1,32 a 1,36) rispetto al Periodo 1.
L’indebolimento
della sterlina ha avuto o no un peso sulla performance economica britannica ?
UK e Italia, dice il grafico di Trezzi, si sono mosse in sincrono (se guardiamo
al PIL) fino a metà 2011.
Ma i deficit
commerciali raccontano una storia differente. UK migliora, abbassando il
deficit medio dal 2,9% al 2,0% del PIL. L’Italia invece lo innalza dallo 0,7%
all’1,4%.
Possono non
sembrare variazioni drammatiche, e in effetti il deficit commerciale italiano
anche nel Periodo 2 rimane inferiore a quello inglese.
Ma attenzione:
il Regno Unito si finanzia nella sua valuta. L’Italia in euro, una moneta che
non ha la possibilità di emettere.
In
corrispondenza di un incremento tutto sommato modesto del deficit e del debito
estero italiano, a metà 2011 crescono di colpo i timori per la possibile
insolvenza dell’Italia, o per il rischio che non riesca a sostenere la
permanenza nella moneta unica.
Da qui
l’austerità deflattiva. L’Italia non ha a disposizione la leva del cambio e
l’aggiustamento si scarica quindi su PIL, occupazione e consumi.
Il risultato si
vede. Nel Periodo 3, l’Italia ha conseguito un surplus commerciale mediamente
pari allo 0,7% del PIL. Un miglioramento dell’1,4% rispetto al -0,7% del
Periodo 1.
Il Regno Unito
mantiene invece un deficit commerciale del 2% del suo PIL (e, non avendo
rilevante indebitamento in valuta estera, non ha difficoltà a finanziarlo).
Rimane il miglioramento dello 0,9% rispetto al Periodo 1.
In sintesi, entrambi
i paesi hanno messo in atto un aggiustamento dei loro conti con l’estero.
L’Italia, che è indebitata in un valuta che non emette, viene spinta a
effettuarlo in misura più accentuata. Ma soprattutto, non ha a disposizione la
leva del cambio per ammortizzare l’effetto.
Le conseguenze
sul PIL reale (2007 = 100):
PIL reale (dato 2013 previsionale)
|
2007
|
2011
|
2013
| |||
Regno Unito
|
100,0
|
96,7
|
98,2
| |||
Italia
|
|
|
|
100,0
|
95,3
|
91,4
|
Fino all’inizio
dell’austerità deflattiva, la performance italiana non era molto diversa di
quella britannica. Ma i loro saldi commerciali miglioravano, i nostri
peggioravano.
Quando l’Italia
ha “aggiustato” i conti con l’estero, il PIL è collassato – mentre nel Regno
Unito si sviluppava una ripresa (sia pure a ritmi modesti).
Partendo dal
picco 2007, tutto questo ha significato per l’Italia circa un 7% di PIL in meno
(nel 2013) rispetto al Regno Unito.
Conclusioni:
Uno, la
svalutazione non è da sola sufficiente a superare una crisi dovuta a un pesante
crollo della domanda: serve una forte azione di sostegno (più spesa e/o meno
tasse). Durante il Periodo 2, queste azioni sono state attuate ma a livelli insufficienti, e il PIL è sceso (sia da noi che nel Regno Unito).
Due, svalutando
il Regno Unito ha però conseguito un miglioramento dei propri saldi
commerciali, che invece in Italia peggioravano.
Tre, a metà 2011
l’Italia – nonostante un deficit commerciale comunque inferiore a quello
britannico – ha visto aumentare i dubbi sulla sostenibilità del suo debito. Dubbi
che invece non sono minimamente insorti riguardo al Regno Unito (che si finanzia nella SUA moneta, e non in una moneta straniera come è, per l'Italia, l'euro).
Quattro,
l’Italia è quindi entrata nella spirale dell’austerità deflattiva, e nel
Periodo 3 ha pesantemente contratto il suo PIL – mentre nel Regno Unito si
verificava una, sia pur blanda, ripresa.
Tutto questo non
smentisce, quindi, ma anzi conferma che l’Italia è stata decisamente
penalizzata dall’euro, o più precisamente dal non disporre di un sistema monetario
flessibile (e dall'essere indebitata in una moneta che non emette).
E che la via da
uscita dalla crisi passa attraverso una forte azione di sostegno della domanda,
abbinata a un intervento di miglioramento della competitività in grado di ottenere effetti
immediati.
Questi effetti
immediati possono essere conseguiti solo tramite un’azione di tipo monetario:
svalutazione (che implica evidentemente il break-up dell’euro) o intervento sul
costo del lavoro nei termini previsti (ad esempio) dal progetto CCF.
E' importante anche il fatto che negli anni 1999-2011 l'Italia aveva progressivamente accumulato un gap di competitività? L'Italia già prima della crisi del 2008 (e a prescindere da questa) aveva bisogno di una svalutazione per riallineare i tassi di cambio reale, quindi se anche (per assurdo) la svalutazione non avesse dato benefici all'UK nel recupero post 2008 comunque noi ci troviamo in una situazione diversa dalla loro situazione durante il 2008: noi abbiamo accumulato una perdita di competitività, loro invece dovevano fronteggiare una crisi finanziaria.
RispondiEliminaVero. Comunque il punto essenziale è: se una nazione incrementa la domanda per rilanciare la propria economia, in misura più intensa di quanto fanno i suoi partner commerciali, per evitare che questo squilibri i commerciali esteri occorre migliorare il costo del lavoro per unità di prodotto. La svalutazione è un modo per ottenere questo effetto, la riduzione del cuneo fiscale (con benefici per le aziende) è un altro.
EliminaSalve egregio professore,
RispondiEliminaMi chiamo Francesco e vorrei rilevare questo blog. Mi potrebbe contattare a francescomerolese2000@gmail.com