L’ultimo articolo metteva a confronto le tre possibili vie di uscita dalla crisi
dell’euro.
Spaccarlo e
ritornare alle monete nazionali.
Far evolvere l’unione
monetaria in un’effettiva unione politica e fiscale, con trasferimenti
finanziari dai paesi economicamente più prosperi agli altri.
Trasformare il
sistema euro in un sistema monetario flessibile, ma senza spaccare l’euro. E’
possibile farlo introducendo, nazione per nazione, strumenti di natura
monetaria a fianco dell’euro. Questo blog parla anche, e principalmente, di
come utilizzare i Certificati di Credito Fiscale per ottenere tutto ciò.
Naturalmente
quest’ultima è la mia soluzione preferita.
Il “Più Europa”
trasformerebbe tutto il Sud in un’area economicamente (e permanentemente) disagiata,
ricreando su scala continentale gli stessi problemi di cui soffre il
Mezzogiorno italiano, ma anche (ad esempio) l’ex DDR. Comunque è pura teoria, è
una strada impercorribile a causa della totale negatività della Germania.
Meglio, molto meglio così.
Torno, invece,
sul break-up dell’euro. La ritengo una soluzione meno valida rispetto alla “via
riformista”, ai CCF, per vari motivi.
Uno è che la
spaccatura comporterebbe la rivalutazione delle monete utilizzate dalla
Germania e dagli altri paesi nord europei, che subirebbero un’immediata perdita di
competitività non solo nei confronti del Sud Europa, ma anche rispetto a tutto
il resto del mondo.
Inoltre i
detentori di crediti verso i paesi del Sud – che in buona parte sono, anche in
questo caso, residenti della vecchia “area marco” - subirebbero un’immediata
perdita di valore per quanto attiene a questi crediti.
Perché mi
preoccupo della Germania e dei creditori ? spesso si afferma che “sarebbe
giusto” fargli subire questi impatti negativi, che andrebbero a compensare
vantaggi accumulati negli anni precedenti.
E’ un tema
interessante su cui disquisire, ma a mio parere è molto più opportuno essere
pragmatici. Toccare certi interessi, al di là dei giudizi etici e delle
valutazioni di legittimità, vuol dire incontrare fortissime resistenze. Il
risultato sarebbe, principalmente, uno: ritardare la soluzione dell’eurocrisi.
Anche perché, lo
sottolineo, c’è un’asimmetria: se forzo la Germania a rivalutare, danneggio la
sua competitività e gli interessi dei creditori esteri, ma senza che ci
sia un corrispettivo beneficio per il Sud.
L’azione di
sostegno alla domanda ottenibile mediante i CCF consente di riportare il Sud
Europa al pieno impiego e alla solvibilità, e riallinea la competitività del
Sud ai livelli del Nord, senza passare tramite la ridenominazione di
crediti e attività finanziarie.
In pratica la
strada del break-up è perdente nel confronto con i CCF perché produce danni
a vari soggetti senza avvantaggiare nessun altro.
Tra parentesi,
la spaccatura dell’euro ha un impatto anche sui risparmiatori italiani, che
detengono conti bancari, titoli di stato e a reddito fisso in genere, eccetera,
e che se li vedrebbero convertiti improvvisamente in una moneta di minor valore
(da euro a nuove lire, per esempio).
In realtà questo
è un effetto molto più psicologico che reale. L’effettiva perdita di ricchezza
per il risparmiatore italiano, che utilizzerà i suoi risparmi, in futuro, in
Italia, non è pari alla svalutazione ma all’inflazione. E tutte le
precedenti esperienze storiche indicano che la svalutazione non si traduce in inflazione
se non in misura molto modesta.
Anzi, quando
l’economia parte da una situazione di domanda depressa come l’attuale, ci sono
buone probabilità che l’impatto inflattivo della svalutazione sia
sostanzialmente nullo.
Senza contare
che molti risparmiatori italiani detengono una parte del loro patrimonio sotto
forma di attività in valuta estera: e qui addirittura avrebbero un vantaggio.
Tutto questo è
convincente per la maggior parte delle persone dotate di adeguata cultura
economica, però non si può trascurare (e non è giusto biasimare) chi, non possedendola,
e/o avendo constatato con quanta incompetenza, ostinazione e pressapochismo
siano state gestiti tutte le vicende connesse all’eurocrisi, si sente a disagio
di fronte alla prospettiva di una nuova, improvvisa discontinuità.
Questo disagio
si traduce nella difficoltà di ottenere un ampio consenso di pubblica opinione,
senza il quale intraprendere la via del break-up diventa ancora più difficile.
Il singolo maggior
elemento di incertezza, secondo gli economisti che esaminano gli effetti del
break-up dell’euro, tuttavia, è probabilmente costituito dalle turbolenze che
si potrebbero produrre sui mercati finanziari e, di conseguenza, sull’economia
reale.
Gli ottimisti
parlano del break-up come di un evento “SME 1992”. Il sistema monetario europeo
legava, ai tempi, le monete dei vari stati in un regime di cambi fissi.
Ma, allora come
oggi, le dinamiche dei vari paesi in termini soprattutto di inflazione e di
competitività erano difformi, e simili a quelle che si sono poi verificate anche
nel “periodo euro” – in particolare, la tendenza della Germania a controllare
meglio l’inflazione e a guadagnare competitività.
Nel settembre
1992, le parità saltarono e vari paesi (tra cui Regno Unito, Italia e Spagna)
uscirono dal sistema lasciando oscillare le loro monete, che si svalutarono
significativamente rispetto al marco tedesco.
Non fu una passeggiata
di salute, ma nemmeno una catastrofe. Nei mesi precedenti alla rottura, i paesi
“candidati” alla svalutazione bruciarono enormi quantità di riserve valutarie
nel tentativo di difendere le parità, e per lo stesso motivi innalzarono i
tassi d’interesse.
Tutto ciò si
rivelo alla fine inutile, e provocò una significativa recessione. Dopo la
rottura dello SME, tuttavia, il recupero di competitività prodotto dalla
svalutazione e il ritorno dei tassi d’interesse a livelli normali consentì il
recupero delle economie. La recessione fu intensa, ma dopo un anno (seconda
metà 1993) si tornò a crescere.
I pessimisti
temono, invece, che il break-up potrebbe innescare un evento “Lehman 2008”. Una
crisi generale del sistema finanziario mondiale, in altri termini: blocco del
credito, fallimenti di banche, credit crunch, collasso della domanda.
E’ veramente
molto aleatorio prevedere quale di queste due ipotesi si rivelerebbe più vicina
al vero.
Di sicuro,
esistono oggi alcuni elementi di maggiore complessità rispetto alla situazione
del 1992.
Le aziende e le
banche italiane hanno una pluralità di rapporti con controparti estere. Ogni operatore la
cui attività non sia puramente domestica si preoccupa quindi della sua bilancia
valutaria, cioè di non rischiare conseguenze negative per effetto di un
riallineamento dei cambi, o comunque di contenerle entro livelli accettabili.
Si cerca quindi
di avere attività in valuta per importi corrispondenti all’incirca a quelli
delle passività nella stessa valuta (matching). Va anche tenuto conto che
un’azienda esportatrice in caso di svalutazione otterrà maggiori flussi di
cassa netti nella valuta in cui esporta. Questo rende appropriato, entro certi
limiti, avere passività (debiti) denominate in quella valuta.
Possono poi
essere adottati strumenti di gestione del rischio di cambio: vendite o acquisti
a termine di valuta, opzioni eccetera.
Nel 1992 le
aziende italiane sapevano che lo SME era un regime di cambi fissi, ma sapevano
anche che le parità concordate erano, periodicamente, soggette a variazioni: se
ne erano verificare diverse, in effetti, durante l’esistenza dello SME e del
suo predecessore (il “serpente monetario”).
Si erano quindi
preoccupate di gestire il rischio di cambio. Qualcuna l’aveva fatto bene, altre
meno ma in definitiva la rottura dello SME fu assorbita senza grandi traumi,
appunto perché il rischio era ben delineato. La svalutazione della lira non
causò quindi rilevanti “danni collaterali”.
Se oggi si verificasse
il break-up, la situazione è diversa perché non è chiaro che cosa accadrebbe
alle varie categorie di attivi e di passivi. Per esempio i contratti di diritto
italiano potrebbero essere automaticamente convertiti in nuove lire, e quelli
di diritto internazionale invece rimanere in euro. Ma quante aziende e quante
banche hanno definito la gestione del loro rischio valutario avendo chiara
questa distinzione ?
Inoltre, come
reagirebbero gli (ex) partner dell’eurozona ? Per esempio un’azienda italiana ha
debiti verso un fornitore tedesco e il contratto è di diritto italiano. A quel
punto dice “ti pago in moneta svalutata” ? Ma se ha anche crediti verso clienti
tedeschi, che cosa ipotizza ? che questi crediti rimarranno in moneta forte ? o
la Germania attuerà una misura di ritorsione (e protezione della sua economia)
e pretenderà di pagare in moneta svalutata ?
Non sono al
corrente di aziende o banche che abbiano impostato una gestione del rischio di break-up
sulla base di queste analisi, né che siano state elaborati studi riferiti al
complesso della situazione italiana o europea. Anche perché gli scenari sono
aleatori ed è prevedibile che nascano contenziosi legali.
E’molto
difficile stimare quanto possano pesare questi elementi di alea – che
naturalmente non riguardano solo Italia e Germania, ma tutti i paesi
dell’eurozona e tutte le loro varie controparti internazionali (comprese quelle
extraeuropee).
Escludo, dati i
pesantissimi danni che l’attuale regime monetario sta creando all’economia
europea, che siano tali da farne preferire il mantenimento rispetto all’ipotesi
di “spaccatura” dell’euro.
Ma la mia
conclusione è che il break-up dell’euro forse non sarebbe un “evento Lehman
2008”, ma è, con ogni probabilità, qualcosa di più complicato di un “evento SME
1992”.
E questo è un
fattore molto importante tra quelli che mi fa propendere per la soluzione "morbida".
Cattaneo ma che fa: babbia?
RispondiElimina"Perché mi preoccupo della Germania e dei creditori ? spesso si afferma che “sarebbe giusto” fargli subire questi impatti negativi, che andrebbero a compensare vantaggi accumulati negli anni precedenti."
Cosa c'entra la giustizia? (sono solo affari: i creditori pretendono un surplus di rendita, lo spread, per coprire il rischio d'uscita)
"Anche perché, lo sottolineo, c’è un’asimmetria: se forzo la Germania a rivalutare, danneggio la sua competitività e gli interessi dei creditori esteri, ma senza che ci sia un corrispettivo beneficio per il Sud."
Perché secondo lei con il nuovo dm a 1.5 contro dollaro (se basterebbe) e, ad es. la nuova Lit a 1.05 (circa) non ci sarebbero vantaggi per gli svalutati?
"Non fu una passeggiata di salute, ma nemmeno una catastrofe. Nei mesi precedenti alla rottura, i paesi “candidati” alla svalutazione bruciarono enormi quantità di riserve valutarie nel tentativo di difendere le parità, e per lo stesso motivi innalzarono i tassi d’interesse."
Questo sarebbe il male minore: il responsabile è poi diventato presidente del consiglio e anche presidente della Repubblica Italiana.
"I pessimisti temono, invece, che il break-up potrebbe innescare un evento “Lehman 2008”. Una crisi generale del sistema finanziario mondiale, in altri termini: blocco del credito, fallimenti di banche, credit crunch, collasso della domanda."
Sbaglio o questa è l'attualità (il futuro è sulle ginocchia di Zeus)?
No, non babbio...
RispondiElimina1) La giustizia non c'entra ed è quello che ho detto anch'io infatti. Ma ho detto anche che se scegliamo una via che urta grossi interessi, rischiamo di non riuscire ad attuarla. Se non c'è fosse alternativa, dovremmo mettercela tutta comunque per spingere il break-up. Ma mi sto sgolando da un anno a spiegare che l'alternativa (CCF, riforma morbida) ESISTE...
2) Rileggere la proposta CCF prego: permette di ridurre il costo del lavoro delle aziende italiane del 20% SENZA BISOGNO di svalutare. Il "senza che ci sia un corrispettivo beneficio per il Sud" significa: break-up fa danno alla Germania, CCF ottiene LO STESSO VANTAGGIO per noi SENZA causare danno alla Germania.
3) Io a fare il presidente del consiglio e il presidente della repubblica non l'avrei certo messo - ma che c'entra ?
4) No, l'attualità non è questa. Stiamo parlando dell'eventualità che vada nuovamente in crisi, come nel settembre 2008, tutto il sistema finanziario MONDIALE. Questo è il timore di diversi economisti. Non ho la minima idea (non ce l'ha nessuno) di quanto sia probabile. Però alto o basso che sia, con la via CCF questo rischio si azzera.
..perche', non fa presente, ad esempio a Mosler queste sue perplessita' e magari sentiamo come la vede lui..visto che mi sembra abbastanza competente?
RispondiEliminaPerplessità, quali ?
EliminaPerò una reindustrializzazione dell'Italia (ad es. grazie ai CCF) o una ns. ripresa di competitività potrebbe danneggiare indirettamente la Germania no? d'altra parte è una questione di saldi: se diminuisce lo svantaggio di qualcuno diminuisce anche il vantaggio di qualcun altro.
RispondiEliminaPersonalmente credo che anche la presenza di mercati finanziari impazziti e la deregulation abbiano impattato in modo deleterio, direi predatorio. Lo scollamento tra mercati finanziari ed economia reale è tangibile. Si dovrebbe intervenire urgentemente.
Banche d'affari e banche d'investimento in capo allo stesso soggetto non dovrebbero più coesistere. Se non si torna ad una funzione della finanza a servizio dell'economia reale temo non ci siano molte chance. Penso che i CCF dovrebbero poter sfuggire agli "artigli" dei mercati finanziari.
E poi chi ci garantisce che la loro situazione, oggi, sia migliore di quella del 2008? non potrebbe addirittura essere peggiorata?
in realtà per molti versi all'estero la ns. situazione deleteria potrebbe far gola.. Non dimentichiamo che la crisi diffusa sta facendo crollare il mercato immobiliare e quindi chi ha causato "il guaio" potrebbe ora venire a fare "spese" a quattro soldi.. E di fronte a questo scenario un risollevamento della ns economia grazie ai CCF potrebbe anche non essere ben vista... temo.. spero di sbagliarmi
"Se diminuisce lo svantaggio di qualcuno diminuisce anche il vantaggio di qualcun altro": non è così, nel contesto attuale, in termini economici perché qui si tratta di riportare tutto il Sud Europa al piano impiego, aumentando PIL e occupazione. Non si sottrae NULLA alla Germania facendo questo.
EliminaIn termini di politica di potere potrebbe invece essere vero se esistesse una volontà egemonica della Germania. Personalmente io (pur essendo altamente critico delle politiche tedesche) non la vedo. Vedo una totale mancanza di solidarietà, o per dirla diversamente di volontà di sacrificare qualcosa per un beneficio comune. Questo può non piacere. Ma la via CCF non chiede alla Germania NULLA, al contrario del break-up e del "Più Europa". La contrasteranno comunque ? non faccio processi alle intenzioni: la risposta si può avere solo mettendo la proposta sul tavolo...
Sulla separazione banche commerciali - banche d'investimento sono d'accordissimo. Quanto agli artigli dei mercati finanziari, comunque, i CCF mi lasciano tranquillo perché sono titoli non soggetti né a rimborso né (quindi) a rischio di default - titoli, di conseguenza, contro cui non puoi speculare, esattamente come non puoi contro il debito espresso in moneta sovrana.
Qualcuno guadagna da una situazione depressa e da asset svalutati ? Certo. Ma sono gli stessi che domani sarebbero pronti a cavalcare, guadagnando anche di più, il boom economico e la ripresa delle borse... Sono iene che divorano i cadaveri, ma è qualcun altro ad ucciderli.