Qui di seguito
trovate, rifiniti e raggruppati per praticità in un unico articolo, i contenuti
di vari post pubblicati nelle ultime settimane. Lo scopo è quello di illustrare
come, dopo aver attuato (nei tempi più rapidi possibili) la Riforma Morbida del
sistema monetario e il connesso rilancio dell’economia mediante l’introduzione
dei Certificati di Credito Fiscale, si potrà in seguito introdurre la moneta nazionale
(la Lira Fiscale) anche come moneta circolante, in sostituzione dell’euro.
La Riforma
Morbida del sistema monetario europeo, che è il principale argomento trattato
in questo blog, è “morbida” nel senso che non prevede una “rottura” deflagrante
della moneta unica ed evita quindi le difficoltà, le complicazioni e i rischi che
la rottura comporta.
Se si vuole
evitare la rottura dell’euro, ma c’è d’altra parte la necessità di ripristinare
la sovranità monetaria italiana – e di tanti altri paesi europei a cui l’attuale
assetto dell’Eurozona impedisce di sviluppare corrette politiche
macroeconomiche – l’alternativa è una procedura di affiancamento. L’Italia
riprende ad emettere un suo strumento monetario, che convive con l’euro ed è
utilizzabile per ripristinare adeguati livelli di domanda e per ridurre il
carico fiscale che grava sul lavoro.
In merito a
quest’ultimo punto, la riduzione del carico fiscale sul lavoro è necessaria per
riportare la competitività delle aziende italiana ai livelli dei paesi più
efficienti dell’Eurozona (e in particolare della Germania) evitando quindi che
il recupero di domanda si diriga in proporzione eccessiva verso l’acquisto di
prodotti esteri, permettendo alle aziende italiane di esportare di più, e di
conseguenza evitando che si riformino sbilanci nei saldi commerciali italiani
verso l’estero.
La versione
originaria del progetto CCF permette di conseguire questi risultati, e potrebbe
anche costituire un assetto permanente della futura Eurozona. In questa ipotesi
l’euro sopravvive: monete e banconote in circolazione continuano a essere
quelle di oggi, e l’unità di conto per i bilanci delle aziende, per i rapporti
di debito e credito, e per la contabilità nazionale rimane l’euro.
E’ plausibile
tuttavia che questo sia in effetti un passaggio verso una situazione finale in
cui il nuovo strumento monetario nazionale diventerà, a tutti gli effetti,
l’unica moneta legale in circolazione, sostituendo quindi l’euro in ogni suo
impiego corrente.
Da una
situazione di partenza in cui i Certificati di Credito Fiscale convivono
insieme all’euro, si arriverebbe quindi a trasformare i CCF in Lire Fiscali,
quindi nella moneta circolante di utilizzo predominante in Italia.
Mi pare che un
esame esauriente delle modalità e dei tempi di questa evoluzione richieda di
analizzare e descrivere la transizione con riferimento, come minimo, ai
seguenti aspetti.
UNO, debito
pubblico.
DUE,
finanziamenti, mutui e rapporti di debito privato in genere.
TRE, contratti
di lavoro.
QUATTRO,
contratti di affitto.
CINQUE,
contratti di somministrazione.
SEI, vendite al
dettaglio.
SETTE, pensioni
(pubbliche e private).
OTTO, possibili
problemi per privati il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di
passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
NOVE, possibili
problemi per aziende il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di
passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
UNO, debito pubblico e finanza pubblica in genere
A partire
dall’avvio del progetto CCF, lo Stato italiano cessa di emettere titoli di
debito pubblico espressi in euro.
Emette al loro
posto titoli denominati in Lire Fiscali, sia a breve (dodici mesi o meno: BOT
fiscali) che a medio-lungo termine (BTP fiscali, con scadenze analoghe agli
attuali BTP in euro).
I titoli
denominati in Lire Fiscali danno diritto al sottoscrittore di ricevere
interessi (in funzione del tasso applicato) e rimborso di capitale a scadenza,
come qualsiasi titoli obbligazionario: ma, appunto, interessi e capitale
saranno espressi in Lire Fiscali, non in euro.
Le Lire Fiscali
saranno utilizzabili (esattamente come i CCF, quando questi ultimi giungono a
scadenza) per soddisfare qualsiasi obbligazione finanziaria nei confronti della
Pubblica Amministrazione italiana.
Lo Stato
italiano non sarà quindi condizionato né dalla necessità di collocare sul
mercato titoli di debito espressi in moneta non sovrana (quale l’euro) né dagli
andamenti dei mercati finanziari internazionali.
La percentuale
di debito pubblico italiano espresso in moneta non sovrana calerà rapidamente.
Oggi quasi due terzi del debito in circolazione scadono entro meno di sei anni
(dati Ministero dell’Economia al 28.2.2014):
Debito pubblico italiano in circolazione – ripartizione percentuale per scadenza
Anno 2014 20%
Anno 2015 12% cumulato 32%
Anno 2016 9% cumulato 41%
Anno 2017 10% cumulato 51%
Anno 2018 7% cumulato 58%
Anno 2019 6% cumulato 64%
Anni 2020-2028 25% cumulato 89%
Anni 2029-2063 11% cumulato 100%
Se non si
effettuano più nuove emissioni in euro, in meno di sei anni resterà in
circolazione debito pubblico in moneta non sovrana pari a poco più di un terzo
delle consistenze attuali, e il valore continuerà a declinare negli anni successivi
(diventando progressivamente sempre più trascurabile).
Nel frattempo,
anno dopo anno lo Stato italiano sosterrà quote crescenti di spesa pubblica non
più in euro ma in Lire Fiscali, che verranno accettate (in analoga proporzione)
dallo Stato stesso in accettazione di pagamenti nei suoi confronti.
Per essere
integralmente fedeli al concetto di “Riforma Morbida”, occorre che nessun
contratto preesistente vengano forzatamente ridenominato, ex lege, da euro a
Lire Fiscali.
Saranno quindi
sostenute in Lire Fiscali e non in euro le spese per nuove assunzioni, per
nuovi contratti di lavoro, per nuovi appalti, eccetera, mentre resteranno in
euro le altre (ma tuttavia incideranno, in proporzione, sempre di meno, via via
che i relativi contratti giungono a scadenza).
Per tutelare il
potere d’acquisto dei dipendenti in sede di rinegoziazione dei contratti
collettivi di lavoro (contratti in euro che scadono e vengono sostituiti da
nuovi contratti espressi in Lire Fiscali) è opportuno prevedere adeguate
clausole di indicizzazione al costo della vita.
Anche in questo
caso, si può stimare che nel giro di cinque-sei anni dall’avvio della Riforma
Morbida la quota di spese pubbliche sostenute ancora in moneta non sovrana sia
pari a circa un terzo del totale o anche meno. E’ plausibile che questa quota
residua di spesa pubblica sia in buona parte costituita da pensioni, per la
parte riconducibile a contributi versati prima della Riforma Morbida (vedi anche
il punto SETTE successivo).
Il processo
potrà essere accelerato offrendo conversioni su base volontaria, anche qui con
clausole compensative (in particolare di indicizzazione e tutela del potere
d’acquisto).
L’utilizzo di
Lire Fiscali per sostenere quote crescenti di spesa pubblica alimenterà la
consuetudine generale al loro utilizzo corrente. Questo aiuterà anche lo
sviluppo di un segmento specifico del mercato del credito (erogazioni di
finanziamenti in Lire Fiscali).
DUE, finanziamenti,
mutui e rapporti di debito privato in genere
TRE, contratti
di lavoro
QUATTRO,
contratti di affitto
CINQUE,
contratti di somministrazione
Il segmento del
mercato del credito relativo alle erogazioni di finanziamenti in Lire Fiscali nel
giro di alcuni anni diventerà predominante rispetto al mercato del credito
denominato in euro.
I contratti di
lavoro privati, i contratti di affitto e i contratti di somministrazione (gas,
luce, telefoni, utenze eccetera) verranno, anch’essi, con sempre maggiore
frequenza stipulati in Lire Fiscali e non più in euro.
Anche in questo
caso, il rispetto del principio della Riforma Morbida implica che nessun
contratto venga convertito forzatamente. Nuovi contratti in Lire Fiscali
verranno stipulati in sostituzione di quelli in euro via via che questi
scadranno o, eventualmente, verranno rinegoziati in anticipo su base
volontaria.
Sarà opportuno
che anche i nuovi contratti collettivi di lavoro stipulati in sostituzione di
contratti in scadenza (o oggetto di rinegoziazione anticipata) nel settore
privato, come già visto riguardo al settore pubblico, prevedano adeguate
clausole di indicizzazione al costo della vita.
Appare
ragionevole una stima di tre-quattro anni per arrivare a una situazione in cui
la circolazione / utilizzo di Lire Fiscali per finalità correnti e per
transazioni anche finanziarie, nell’ambito del settore privato, divenga
predominante rispetto alla circolazione / utilizzo di euro.
SEI, vendite al
dettaglio
Nell’arco di
tre-quattro anni, in altri termini, l’utilizzo di Lire Fiscali per transazioni
correnti diverrà predominante rispetto all’utilizzo di euro.
Quindi la quasi
totalità degli operatori privati (individui e aziende) si troverà a disporre di
depositi bancari di due tipologie: denominati in euro e denominati in Lire
Fiscali.
A partire da una
data prefissata, potrà essere previsto che i prezzi al pubblico per le attività
di vendita al dettaglio debbano essere espressi non più in euro, ma in Lire
Fiscali.
A questo punto,
verranno anche emesse banconote e monete metalliche denominate non in euro, ma
in Lire Fiscali.
Potrà essere prelevato
contante agli sportelli bancari o via Bancomat in Lire Fiscali, effettuati
pagamenti con assegni in Lire Fiscali, utilizzate carte di credito collegate a
conti bancari in Lire Fiscali, eccetera.
Ad esempio si
può ipotizzare che, avviando la Riforma Morbida il 1° gennaio 2015, la data in
cui i prezzi al pubblico saranno espressi non più in euro ma il Lire Fiscali
sia il 1° gennaio 2018.
Euro e Lire
Fiscali saranno convertibili sia prima che dopo tale data. Prima, il pubblico
effettuerà pagamenti in euro (alimentando i conti correnti in euro impiegati
per utilizzi e prelievi, anche mediante conversioni da Lire Fiscali a euro).
Dopo, effettuerà pagamenti in Lire Fiscali (alimentando i conti correnti in
Lire Fiscali impiegati per utilizzi e prelievi, anche mediante conversioni da
euro a Lire Fiscali).
SETTE, pensioni
(pubbliche e private)
Via via che i
contratti di lavoro saranno sempre più frequentemente espressi in Lire Fiscali,
si diffonderanno polizze assicurative e previdenziali di natura pensionistica
(pensioni private) sempre più frequentemente espresse, a loro volta, in Lire
Fiscali e non in euro.
Resteranno
peraltro in euro le pensioni stipulate precedentemente alla Riforma Morbida:
continueranno a essere effettuati in euro sia i contributi che le prestazioni,
salvo anche in questo caso (analogamente a quanto ipotizzato per i contratti di
lavoro) attuare rinegoziazioni su base volontaria e con opportune clausole di
indicizzazione.
Riguardo alle
pensioni pubbliche, basate su un meccanismo parzialmente o totalmente a
ripartizione o comunque non contributivo, dalla data della Riforma Morbida in
poi andrà lasciata al titolare del diritto pensionistico la facoltà di
proseguire le contribuzioni sia in euro che in Lire Fiscali, prevedendo però
che anche le prestazioni future vengano effettuate, corrispondentemente e in
proporzione, parte in euro e parte in Lire Fiscali (sulla base delle
contribuzioni effettuate).
Anche qui potrà
essere offerta la possibilità di convertire integralmente, su base volontaria,
tutti i diritti futuri in Lire Fiscali, introducendo opportuni meccanismi di
indicizzazione.
OTTO, possibili
problemi per privati il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di
passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
NOVE, possibili
problemi per aziende il cui reddito si trasforma in Lire Fiscali, a fronte di
passività residue in euro (e come risolverli / prevenirli).
Ricapitolo
quando fin qui enunciato. La Riforma Morbida prevede di introdurre uno
strumento monetario sovrano (i Certificati di Credito Fiscale, o CCF) a fianco
dell’euro, e di utilizzarlo (da parte dello Stato emittente) per integrare il reddito
dei lavoratori, per ridurre il costo effettivo del lavoro per le aziende, e per
effettuare altre azioni di sostegno della domanda.
In particolare,
l’assegnazione di CCF alle aziende, in quantità dipendente dai costi di lavoro
lordi sostenuti, viene effettuata in misura adeguata a riportare il Costo del
Lavoro per Unità di Prodotto (CLUP) italiano ai livelli dei paesi più
efficienti dell’Eurozona, e in particolare della Germania.
Questo permette
al recupero di domanda e di PIL di svilupparsi senza che la maggior domanda
produca maggiori importazioni nette, ed evitando quindi squilibri nei saldi
commerciali esteri.
Come visto in precedenza,
inoltre, lo Stato italiano anno dopo anno potrà sostenere quote crescenti di
spese pubbliche in Lire Fiscali, cioè in moneta utilizzabile per soddisfare
obbligazioni finanziarie (tasse e imposte in primo luogo) nei confronti dello
Stato medesimo.
E la crescente
introduzione di Lire Fiscali per sostenere quota di spesa pubblica alimenterà
anche la consuetudine al loro utilizzo da parte del settore privato nonché lo
sviluppo di un segmento specifico del mercato del credito (erogazione di
finanziamenti in Lire Fiscali).
L’abbandono
definitivo dell’euro per utilizzi correnti e la sua sostituzione con la Lira
Fiscale potrà avvenire, come si ipotizzava, qualche anno dopo l’avvio della
Riforma Morbida: per esempio, il 1° gennaio 2015 si introducono i CCF; il 1°
gennaio 2018 i prezzi al pubblico cessano di essere espressi in euro, vengono
emesse banconote e monete metalliche in Lire Fiscali, eccetera.
Per rimanere
fedeli al concetto di Riforma Morbida, nessun contratto dovrà essere
forzosamente convertito da euro a Lire Fiscali.
Questo potrebbe
creare difficoltà a cittadini e aziende che si trovano a operare in un’economia
che lavora, a questo punto, in Lire Fiscali – quindi i redditi di lavoro per
contratti stipulati successivamente all’avvio della Riforma sono in Lire
Fiscali, le aziende che operano sul mercato domestico conseguono proventi in
Lire Fiscali, eccetera – mentre mutui, debiti privati, e finanziamenti alle
imprese, almeno in parte sono ancora espressi in euro.
All’atto
pratico, comunque, il problema è di rilievo molto inferiore a quanto si
potrebbe temere, in primo luogo perché la Riforma Morbida non è basata su un
meccanismo di svalutazione: come visto, il riequilibrio del CLUP tra Italia e
altri paesi dell’Eurozona (Germania in particolare) viene effettuato riducendo
il carico fiscale effettivo sui costi di lavoro delle aziende.
La Lira Fiscale
non è quindi destinata, al momento del passaggio sopra indicato (e ipotizzato,
come si diceva, per il 1° gennaio 2018) ad essere negoziata sul mercato per un
valore sostanzialmente difforme da quello dell’euro.
Inoltre, nel
periodo intercorrente tra avvio della Riforma Morbida e passaggio finale alla
Lira Fiscale, molti contratti di finanziamento (anzi molti rapporti
giuridico-economico di qualsiasi natura: anche contratti di lavoro, pensioni,
affitti eccetera) saranno scaduti o saranno stati rinegoziati su base volontaria.
Buona parte dei
rapporti contrattuali, in altri termini, saranno già in Lire Fiscali e non più
in euro, fin da prima del 2018.
Gli effetti di
trasferimento di ricchezza saranno quindi nettamente inferiori a quanto
avverrebbe in seguito a un break-up dell’euro, con conseguente automatica (e
forzata) trasformazione in Nuove Lire di tutta una serie di rapporti economici,
accompagnata a una significativa svalutazione della Nuova Lira rispetto
all’euro.
Casi particolari
potranno essere gestiti con provvedimenti di sostegno ad hoc, fermo restando
che, con ogni probabilità, si tratterà di fenomeni di importo molto modesto (in
confronto agli effetti di un break-up con svalutazione).
L'Euro è un problema solo per noi che l'abbiamo adottato,come mai non lo è per gli altri Paesi che lo hanno adottato?
RispondiEliminaGiovanna
I PIGS originari, quelli che hanno subito il peggior impatto iniziale dell'eurocrisi, sono Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. L'Italia in origine non era nel gruppo. La Grecia ha subito conseguenze pesantissime, Portogallo, Irlanda e Spagna molto meno perché la crisi da loro è stata soprattutto una crisi bancaria gestita con fortissime iniezioni di soldi pubblici. Quindi deficit di bilancio tripli di quelli italiani per svariati anni dal 2011 in poi. In pratica, hanno evitato conseguenze troppo gravi perché le circostanze hanno loro consentito di disattendere completamente le euroregole.
EliminaI paesi del Nord invece sono stati avvantaggiati dai surplus commerciali esteri dovuti al fatto che l'euro è una moneta debole rispetto alla situazione delle loro precedenti monete nazionali (per noi, e per tutto il Sud, è il contrario).