mercoledì 4 novembre 2015

Svalutare o intervenire sul cuneo fiscale ?


Il progetto CCF prevede di utilizzare i Certificati di Credito Fiscale per attuare un’azione di rilancio della domanda e, conseguentemente, di stimolo a PIL, occupazione e prezzi.

E’ anche previsto che una parte delle allocazioni di CCF vada alle aziende, in proporzione ai costi di lavoro da esse sostenuti. In questo modo si ottiene una riduzione dei costi di lavoro lordi effettivi e un immediato recupero di competitività. Questo permette di esportare di più e di recuperare quote di mercato interno perse negli ultimi anni a vantaggi degli importatori. E’ quindi possibile rilanciare l’economia senza creare squilibri nei saldi commerciali esteri.

In pratica si replicano gli effetti di una svalutazione senza passare per la rottura del sistema monetario. E lo stesso meccanismo può essere utilizzato per intervenire su un altro problema dell’economia italiana, le differenze di competitività tra Nord e Sud e, di conseguenza, il cronico ritardo dell’economia del Mezzogiorno rispetto al Settentrione.

Riguardo a quest’ultimo tema, il meccanismo sarebbe di allocare CCF in misura più che proporzionale alle aziende del Sud rispetto a quelle del Nord. E’ un intervento molto più semplice rispetto all’introduzione di una seconda moneta per il Mezzogiorno, una proposta che la Lega Nord aveva formulato negli anni Novanta e che è stata recentemente rilanciata dall’attuale responsabile economico della Lega, Claudio Borghi.

Mi sono spesso sentito obiettare che un riallineamento valutario ha effetti più automatici, e di conseguenza più efficaci, rispetto alla riduzione del cuneo fiscale a vantaggio delle aziende. Per citare lo stesso Borghi “se riduco tasse e contributi a carico del lavoro, il pizzaiolo non riduce il costo della pizza”.

Ora, se il pizzaiolo lavora in un contesto isolato, non esposto a nessun tipo di concorrenza internazionale, con ogni probabilità questo è vero: ma per quel pizzaiolo è sostanzialmente irrilevante anche una svalutazione.

Ma per un esercizio turistico – un ristorante, un albergo, un resort – situato in una località frequentata da turisti esteri, ridurre i costi lordi di lavoro (senza penalizzare le retribuzioni nette, che anzi con il progetto CCF si incrementano – perché l’intervento è su ENTRAMBI i lati del cuneo fiscale) consente di praticare prezzi più bassi a parità di margini: perciò di attirare più clienti stranieri (maggiori esportazioni di servizi turistici) e anche di indurre più clientela nazionale a passare le vacanze in Italia e meno in Tunisia, ai Caraibi o alle Mauritius (sostituzione di importazioni).

Rispetto al caso di una svalutazione, certo, l’albergatore italiano deve fare un passaggio in più: ridurre i prezzi, invece di lasciare che il cliente si accorga da solo che i prezzi italiani si sono abbassati rispetto a quelli esteri (per effetto del cambio).

Ma vi sembra che cambiare un listino sia uno sforzo così titanico ? oggi abbiamo aziende che sono costrette a effettuare pesanti ristrutturazioni, a delocalizzare o a chiudere. Vi pare che questi imprenditori non troverebbero molto più agevole abbassare i prezzi, se potessero farlo senza impatto sui margini unitari e con forte beneficio sui livelli di attività (beneficio che spesso farebbe la differenza tra continuare a lavorare e chiudere) ?

Tra l’altro, la necessità di modificare i listini sussiste comunque, nella maggior parte dei casi, anche nell’eventualità di una svalutazione. Anche ai tempi della lira, i prezzi all’export erano quasi sempre espressi in valuta. Se l’Italia domani uscisse dall’euro e adottasse la lira, il cliente estero abituato a ragionare (per esempio) in dollari comprerebbe di più dall’azienda italiana se (a condizione che) gli venisse proposto un prezzo più basso (in dollari, appunto).

Cambiare i listini è veramente l’ultimo dei problemi. Il punto rilevante è il recupero di competitività: e un intervento forte e permanente sul cuneo fiscale ha un’efficacia assolutamente confrontabile con quella di una svalutazione.
Per risolvere la crisi questo recupero di competitività oltre a essere sostanzioso deve abbinarsi al rilancio della domanda interna. Si ritorna quindi alla necessità di uscire dai vincoli dell’attuale Eurosistema.

Ma il breakup e la conseguente svalutazione non è l’unica via, e neanche la più efficace.

3 commenti:

  1. se uno può aprire un altro albergo sì ma se gli alberghi sono fissi e il credito è fisso e l'economia è fissa è ovvio che i prezzi non calano. possono salire e scendere i fatturati in base al periodo ma non i prezzi. cioè si esclude una parte della società dal consumo perché non può consumare.

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    1. Veramente funziona ancora meglio se l'albergo c'è ed è mezzo vuoto perché i prezzi sono troppo alti...

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    2. non in assenza di concorrenza perché a quel punto non è più l'albergo a decidere i prezzi bensì lo stato. è proprio lo stato che manda in crisi la domanda e decreta i prezzi per l'assenza di mercato.

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