Biagio Bossone /
Marco Cattaneo / Massimo Costa / Stefano Sylos Labini
I nostri principali commenti all’articolo pubblicato ieri da Roberto Perotti su Lavoce.info.
La critica di
Perotti al progetto CCF / Moneta Fiscale è basata sostanzialmente su tre punti, che possono essere riassunti – e
confutati – come segue.
UNO: “i CCF sono
debito pubblico”. No, non lo sono. I principi contabili internazionali adottati
anche nella definizione del “Maastricht Debt” ai fini dello Stability & Growth
Pact e del Fiscal Compact sono molto chiari al riguardo. Vedi per esempio qui . Il nocciolo è che titoli a utilizzabilità fiscale senza obbligo di rimborso in euro sono “non-payable deferred tax assets” e non
hanno impatti sui conti pubblici fino al loro utilizzo per conseguire sconti
fiscali (cioè due anni dopo l’emissione, quando produzione e gettito avranno
recuperato).
DUE: “se non
sono debito, i CCF sono comunque una passività per lo Stato”. Se per
“passività” intendiamo “impegno” (di accettazione) lo è anche la moneta. Il
punto è che l’economia italiana ha necessità di rilanciare la domanda,
BLOCCANDO nello stesso tempo l’incremento delle passività su cui può essere
forzata al default in quanto
impongono un rimborso in una moneta (l’euro) che l’Italia non emette. I CCF
risolvono il problema appunto perché NON richiedono un approvvigionamento sul
mercato dei capitali.
TRE: “i CCF sono
un progetto “Lafferista””. No: non fanno affidamento su un incentivo ad aziende
e cittadini a lavorare di più perché le tasse sono più basse, ma su un’azione
espansiva della domanda. L’utilizzabilità fiscale dello strumento è l’elemento
che conferisce ai CCF potere d’acquisto e quindi spendibilità, ma la proposta è
demand-side, non supply-side: vedi qui .
Buongiorno professore ho una domanda che non centra col post: volevo sapere in pratica a che servono le riserve in valuta estera detenute dalla Banca Centrale. Dato che molti insistono sempre a dire che servono ad acquistare materie prime o petrolio (e non è così).. quindi a livello pratico a cosa servono? Per mantenere un peg? O come garanzia ultima in caso di forti deficit commerciali? Grazie
RispondiEliminaA mantenere il peg se ne esiste uno, o comunque a operare sul mercato per cercare di influenzare il cambio. Un paese che non interviene sul mercato dei cambi non ha bisogno di riserve valutarie.
EliminaNon e' un po' improbabile che aziende e individui accettino come pagamento un CCF se non ha gli stessi diritti di un BOT? A me sembra piuttosto improbabile. Un azienda in perdita, per esempio, verrebbe forzata a cedere i CCF sul mercato. Quindi il mercato e' comunque conivolto...
RispondiEliminaMi aspetterei un tasso di interesse molto piu' elevato su questi titoli. Quindi ci sarebbe un possibile impatto finanziario. Assumere che privati accettino pagamenti alla pari con CCF mi sembra equivalente ad assumere che il debito pubblico puo' essere sempre rifinanziato.
E' sicuramente vero che i vincoli fiscali EU (in congiunzione con gli errori di politica moneteria di Trichet) hanno causato ingenti danni all'economia italiana. Ma sono piuttosto scettico che un azione unilaterale dell'Italia avrebbe il risultato desiderato. Anche gli altri stati Europei hanno diverse armi a loro disposizione e, nel bene o nel male, l'Italia e' legata al contesto europeo. Un rialzo dei tassi puo' facilmente cancellare gli effetti della moneta fiscale.
In questi ultimi anni (dopo gli errori di Trichet) la banca centrale europea ha seguito una politica di espansione monetaria senza precedenti. Vista la situazione sostenere che i problemi italiani siano esclusivamente demand-side mi sembra poco ragionevole. I tassi sono sotto zero, l'euro si e' indebolito... Lo stimolo non e' certo mancato... Direi che l'Europa non ha fatto nulla per aiutare l'Italia mi sembra semplicemente falso. Se l'Italia non contasse davvero nulla, i tassi di interesse e il QE non ci sarebbero...
Se uno guarda all'esempio del giappone, un paese con una situazione demografica simile all'Italia, non credo che si puo' trarre grande conforto dal successo delle politiche fiscali.
"Un'azienda in perdita, per esempio, verrebbe forzata a cedere i CCF sul mercato. Quindi il mercato è comunque convolto...": certo che è coinvolto, ma un diritto a conseguire sconti fiscali ha un valore sostanzialmente equivalente a moneta corrente, purché l'ammontare totale dei titoli in circolazione non sia tale da rendere in pratica impossibile utilizzarli tutti nell'anno di scadenza. E il rapporto di copertura è invece altissimo (entrate fiscali lorde italiane 800 miliardi all'anno, CCF massimi che giungerebbero a scadenza ogni anno circa 100). Tra l'altro anche l'azienda in perdita non paga IRES ma paga IVA, IRAP, contributi ecc., e i CCF valgono anche a quei fini.
Elimina"L'Italia è legata al contesto europeo. Un rialzo dei tassi può facilmente cancellare gli effetti della moneta fiscale": dopo la fine del QE USA, ci sono voluti tre anni per portare i tassi a breve da zero all'1% e quelli a lunga dall'1% al 2,5% circa. Quindi rialzi repentini non sono prevedibili, e i vantaggi della Moneta Fiscale sono di un ordine di grandezza molto superiore. E in ogni caso, il fatto che i tassi NON li controlliamo noi rende ANCORA PIU' URGENTE avere uno strumento autonomo di rilancio della domanda.
"Dire che l'Europa non ha fatto nulla per aiutare l'Italia mi sembra semplicemente falso. Se l'Italia non contasse davvero nulla, i tassi di interesse e il QE non ci sarebbero...": ma tutte queste azioni sono servite a evitare la rottura dell'euro, mentre il loro impatto sul rilancio della domanda e dell'economia reale è stato totalmente inadeguato.
"Se uno guarda all'esempio del Giappone, un paese con una situazione demografica simile all'Italia, non credo che si possa trarre grande conforto dal successo delle politiche fiscali." Il Giappone ha disoccupazione al 3%, il PIL per individuo in età lavorativa è cresciuto più di quello tedesco, l'inflazione è a zero e i tassi d'interesse anche. Scambierei mille volte la situazione italiana con quella giapponese...
Non vedo come si possa sostenere che i CCF siano equivalenti a moneta corrente. Posso concedere che siano vicini ad un BOT in quanto liquidita', ma di sicuro non equivalenti alla base monetaria.
EliminaIl loro valore deve essere per forza variable, legato al valore dei titoli di stato di breve scadenza. Anzi devono probabilmente essere sia piu' volatilti che piu' cheap di un titolo di stato, visto che sono piu' o meno junior ad un titolo di stato.
Inoltre mi chiedo come tali titoli verrebbero trattati nel patrimonio delle banche: chi li terebbe in portafoglio? I risparmiatori? Mi sembra difficile una banca possa fare repo su un tale titolo. Senza fractional banking, l'effeto della moneta fiscale mi sembra molto minore dell'equivalente effetto di emettere lo stesso quantitativo di euro per esempio. Questo punto mi sembra molto importante se devo essere sincero: la banca centrale potrebbe facilmente ostacolare l'uso dei CCF come collaterale rendendoli difficili da usare nel sistema finanziario.
A mio parere la moneta fiscale e' un soluzione in cerca di un problema. Aumentare la spesa pubblica di 100bn puo' essere fatto in ogni momento. Non e' certo il patto di stabilita' che lo rende impossibile, ma il fatto che qualcuno li deve prestare allo stao prima di poterli spendere. Siamo a dieci anni dalla great recession e a 7 dalla sov crisis. L'ECB ha comprato 350bn di BTP negli ultimi due anni. Quello che una banca d'italia indipendente avrebbe fatto e' stato fatto in ogni caso...
E' vero che non controlliamo completamente i tassi in Italia, ma abbiamo influenza sulla politica monetario dell'intera europa. L'espansione monetaria e fiscale non rispetta i confini nazionali in ogni caso, non in una economia integrata come quella europea. Non mi sembra l'esperienza di politica economica in Italia pre-euro sia da rimpiangere. E' stata proprio la politica economica pre-euro che ha creato la massa di debito pubblico che rende impossibile una politica fiscale in questo frangente.
In fine non si puo' paragonare la situazione dell'Italia e del Giappone in assoluto, non mi sembra un paragone sostenibile. L'effetto dell'espansione fiscale in Giappone non mi sembra molto forte visti i dati. Negli ultimi decenni il Giappone si e' pricipalmente affidato alla politica monetaria (e indirettamente ai cambi). Non penso proprio la moneta fiscale possa avere un effetto equivalente...
"Non vedo come si possa sostenere che i CCF siano equivalenti a moneta corrente. Posso concedere che siano vicini ad un BOT in quanto liquidità, ma di sicuro non equivalenti alla base monetaria." C'è la certezza di poterli utilizzare per ridurre pagamenti d'imposte, e questo dà una fortissima garanzia che il loro valore sia vicino alla parità con l'euro.
Elimina"Anzi devono probabilmente essere sia più volatili che più cheap di un titolo di stato, visto che sono più o meno junior ad un titolo di stato." Al contrario, un titolo di Stato va rimborsato in euro e a scadenza lo Stato potrebbe non averne a sufficienza: c'è un rischio di credito. L'accettazione per fini fiscali invece è qualcosa che lo Stato non può mai essere forzato a disconoscere.
"Chi li terrebbe in portafoglio? I risparmiatori? Mi sembra difficile una banca possa fare repo su un tale titolo. Senza fractional banking, l'effetto della moneta fiscale mi sembra molto minore dell'equivalente effetto di emettere lo stesso quantitativo di euro per esempio. Questo punto mi sembra molto importante se devo essere sincero: la banca centrale potrebbe facilmente ostacolare l'uso dei CCF come collaterale rendendoli difficili da usare nel sistema finanziario." Possono benissimo detenerli i risparmiatori (direttamente ma anche per il tramite di fondi, riserve tecniche di compagnie assicurative ecc.). Ci sono 4.000 miliardi di attività finanziarie nei portafogli dei risparmiatori italiani, aumentarle di un massimo di 200 non crea certo problemi di assorbimento. Che le banche li detengano o no non è essenziale.
"A mio parere la moneta fiscale e' un soluzione in cerca di un problema. Aumentare la spesa pubblica di 100 bn può essere fatto in ogni momento." Se non ci fossero i vincoli dell'Eurosistema che impediscono di farlo indebitandosi in euro: ma questi vincoli esistono...
"Non e' certo il patto di stabilita' che lo rende impossibile, ma il fatto che qualcuno li deve prestare allo stato prima di poterli spendere." E invece, appunto, la Moneta Fiscale è emessa dallo Stato: nessuno deve prestare nulla.
"L'ECB ha comprato 350 bn di BTP negli ultimi due anni. Quello che una Banca d'Italia indipendente avrebbe fatto e' stato fatto in ogni caso": ma senza poter immettere potere d'acquisto nell'economia reale (che era ed è la cosa più importante) appunto a causa del patto di stabilità e del Fiscal Compact. I CCF servono a superare questo problema, ed è FONDAMENTALE.
"Non mi sembra l'esperienza di politica economica in Italia pre-euro sia da rimpiangere. E' stata proprio la politica economica pre-euro che ha creato la massa di debito pubblico che rende impossibile una politica fiscale in questo frangente.": lo rende impossibile perché è debito in moneta straniera. Il Giappone non ha questo vincolo e nonostante un rapporto debito pubblico / PIL al 230% sta enormemente meglio di noi.
Se i risparmiatori detengo i CCF come attivita' finanziaria, in sostanza stanno prestando i soldi allo stato italiano. Che sia un debito per l'EUROSTAT o meno, sono di certo un investimento per i detentori. Cosa succederebbe a questi CCF se l'Italia dovesse uscire dall'euro? Visto che le tasse sono denominate in moneta locale, mi sembra quasi certo che verebbero automaticamente convertite. La stessa cosa potrebbe succedere anche ai titoli di stato, ma e' meno certo. Questo singolo fattore rende i CCF significativamente meno attraenti a mio parere.
EliminaUna politica di espansione Keynesiana non e' un panacea, ma e' di certo un opzione efficace in certi frangenti. L'Italia ha perso la possibilita' di usare tale strumento uinilateralmente, ma questo non vuole dire lo ha perso del tutto. Deve semplicemente convincere i suoi alleati, un po' come la Sicilia deve convincere il resto d'Italia. Questa e' la realta'. Mosse unilaterali rischiano semplicemente di distruggere l'intero edificio europeo con costi imprevedibili.
Dire che la politica dell'ECB non ha immesso potere d'acquisto nell'economia italiana mi sembra molto discutibile: di quanto ha abbassato lo spread btp-bund? 200-300 basis points? Su un debito del 130% parliamo di diversi punti di GDP all'anno. E questo e' solo l'impatto diretto sul debito pubblico, ignorando mutui e altri canali (incluso il cambio).
Sostenere che il moltiplicatore fiscale e' ancora oggi molto alto (a sette anni dalla crisi) mi sembra discutibile. E' vero che gli interventi di politica monetaria espansiva sono solo di 2-3 anni fa, ma sono comunque avvenuti. Un'espansione fiscale oggi non avra' gli stessi effetti che avrebbe potuto avere immediatamente dopo la crisi. E' quindi piu' rischiosa oggi che 5 anni fa...
Che il Giappone abbia emesso titoli in moneta locale o meno e' irrilevante. L'Italia non lo ha fatto. Possiamo discuretere su quale sia stato il bilancio complessivo dell'adozione dell'euro, ma alla fine dei conti e' un sunk cost. La situazione economica all'inizio del governo Prodi non era certamente la piu' rosea...
Infine il Giappone e' geograficamente vicino alle economie in piu' grande crescita e si e' specializzato in settori complementari a queste economie. In gran parte l'Italia eccelle (ed esporta) in settori a piu' basso valore aggiunto e direttamente in concorrenza con i paesi emergenti.
"Se i risparmiatori detengo i CCF come attività finanziaria, in sostanza stanno prestando i soldi allo stato italiano": ma senza che ci sia stato il problema di collocarli sul mercato, gli vengono assegnati gratuitamente.
Elimina"Cosa succederebbe a questi CCF se l'Italia dovesse uscire dall'euro? Visto che le tasse sono denominate in moneta locale, mi sembra quasi certo che verrebbero automaticamente convertite. La stessa cosa potrebbe succedere anche ai titoli di stato, ma è meno certo." Se non venissero convertiti, con ogni probabilità subirebbero un haircut, per entità percentuale che rischia fortemente di essere più significativa rispetto alla svalutazione.
"Una politica di espansione Keynesiana non è un panacea, ma è di certo un opzione efficace in certi frangenti. L'Italia ha perso la possibilità di usare tale strumento unilateralmente, ma questo non vuole dire lo ha perso del tutto. Deve semplicemente convincere i suoi alleati": non esiste assolutamente (nella realtà) nessuna possibilità che questo venga accettato.
"Dire che la politica dell'ECB non ha immesso potere d'acquisto nell'economia italiana mi sembra molto discutibile: di quanto ha abbassato lo spread btp-bund? 200-300 basis points? Su un debito del 130% parliamo di diversi punti di GDP all'anno": i minori interessi pagati sono MENO soldi che affluiscono ai possessori dei titoli del debito pubblico. Il deficit complessivo è sceso quando aveva bisogno di salire, e questo significa meno potere d'acquisto in circolazione.
"Sostenere che il moltiplicatore fiscale è ancora oggi molto alto (a sette anni dalla crisi) mi sembra discutibile. E' vero che gli interventi di politica monetaria espansiva sono solo di 2-3 anni fa, ma sono comunque avvenuti. Un'espansione fiscale oggi non avrà gli stessi effetti che avrebbe potuto avere immediatamente dopo la crisi. E' quindi più rischiosa oggi che 5 anni fa...": i livelli di disoccupazione e sottoccupazione sono altissimi, questo implica un enorme output gap e quindi un moltiplicatore elevato, OGGI. La politica monetaria non ha immesso potere d'acquisto nell'economia reale e questo implica effetto espansivo modestissimo, com'era ampiamente prevedibile: vedi il post del 24.5.2013.
"Che il Giappone abbia emesso titoli in moneta locale o meno è irrilevante": rileva che ha rilanciato la domanda senza creare inflazione né rischio di credito.
"L'Italia non lo ha fatto. Possiamo discutere su quale sia stato il bilancio complessivo dell'adozione dell'euro, ma alla fine dei conti è un sunk cost. La situazione economica all'inizio del governo Prodi non era certamente la più rosea...": era enormemente migliore di oggi. In ogni caso la macchina del tempo per evitare quanto già avvenuto non l'abbiamo; la possibilità di agire OGGI, introducendo i CCF, SI'...
Infine il Giappone e' geograficamente vicino alle economie in piu' grande crescita e si e' specializzato in settori complementari a queste economie. In gran parte l'Italia eccelle (ed esporta) in settori a piu' basso valore aggiunto e direttamente in concorrenza con i paesi emergenti.
Se i CCF vengono distribuiti gratuitamente, sono simili ad un taglio delle tasse o di un rialzo delle detrazione base. Visto quanto dice pecedentemente, mi sembra difficile possa essere una taglio pernamente. Questo mi sembra il modo peggiore di implementare una politica di espansione fiscale.
EliminaSolitamente si preferisce aumetare la spesa pubblica (e preferibilmente ancora l'investimento pubblico). Se viene utilizzata come trasferimento (e temporaneo per di piu'), e' possibile prevedere che una percentuale rilevante di questo trasferimento venga risparmiata (o usata per ridurre il debito in ogni caso) e quindi di effetto limitato.
Sostenere che la politica monetaria ha avuto un impatto modestissimo richiede per lo meno una qualche giustificazione. Semplicemente dire che il livello di disoccupazione e' altissimo non mi sembra sufficiente. In ogni caso e' diminuito di 2 punti negli ultimi due anni. Il tasso di cambio e' sceso del 25-30% anche se e' recemtemente risalito significativamente.
Da notare anche che il tasso di disoccupazione e' oggi praticamente lo stesso che nel 1996. Se uno usa il vecchio misery index, il 1996 mi sembra senza dubbio molto peggio...
"Solitamente si preferisce aumetare la spesa pubblica (e preferibilmente ancora l'investimento pubblico). Se viene utilizzata come trasferimento (e temporaneo per di piu'), e' possibile prevedere che una percentuale rilevante di questo trasferimento venga risparmiata (o usata per ridurre il debito in ogni caso) e quindi di effetto limitato": è prevista infatti anche una quota rilevante destinata all'investimento e all'impiego pubblico. La parte indirizzata a trasferimenti andrà ai ceti sociali bassi e medi (che hanno un moltiplicatore fiscale molto alto) e alla competitività delle aziende. E l'intervento è PERMANENTE, non temporaneo.
RispondiElimina"Sostenere che la politica monetaria ha avuto un impatto modestissimo richiede per lo meno una qualche giustificazione. Semplicemente dire che il livello di disoccupazione è altissimo non mi sembra sufficiente. In ogni caso è diminuito di 2 punti negli ultimi due anni. Il tasso di cambio è sceso del 25-30% anche se è recentemente risalito significativamente": il problema è che il sostegno all'export dovuto al cambio è stato del tutto insufficiente a fronte del collasso della domanda interna indotto dall'euroausterità. A potere d'acquisto costante, le esportazioni sono in effetti +7,8% 2017 vs 2007: ma la domanda interna è calata in proporzioni simili (-7%) e in valore pesa il triplo...
"Da notare anche che il tasso di disoccupazione è oggi praticamente lo stesso che nel 1996": solo perché si considerano occupati anche i part-time e si calcola la disoccupazione escludendo gli "scoraggiati" (quelli che hanno smesso di cercare lavoro per palese impossibilità di trovare qualcosa di accettabile) dal totale delle forze di lavoro. L'indice U6 (che tiene conto di part-time e scoraggiati) è al 30% quando non dovrebbe superare il 10% e sarebbe appena tollerabile al 15% (com'era prima dell'euro e prima della crisi).
Addendum alla risposta del 18.4.2018 ore 14.48 (era saltato un pezzo):
Elimina"Infine il Giappone è geograficamente vicino alle economie in piu' grande crescita e si è specializzato in settori complementari a queste economie. In gran parte l'Italia eccelle (ed esporta) in settori a più basso valore aggiunto e direttamente in concorrenza con i paesi emergenti": ma in quei paesi l'export italiano è cresciuto; è la domanda interna (le vendite in Italia) che è collassata a causa dell'euroausterità. In ogni caso, nella misura in cui competiamo (anche) su produzioni a basso valore aggiunto, ancora più importante diventa recuperare rapidamente competitività: i CCF vanno anche alle aziende in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti, abbassano quindi il costo del lavoro lordo effettivo, e producono un immediato beneficio.
Il tasso di attivita' complessivo pero' non e' per nulla basso, si e' rialzato di 3% percentuali negli ultimi 5 anni. Questo non mi sembra esattamente in linea con l'idea che l'italia ha un output gap gigantesco. E' possibile che sia il frutto di una piu' alta partecipazione femminile, ma in ogni caso mi sembra un osservazione interessante.
EliminaInoltre ho letto il pdf sull'effetto dei CCF e sono sinceramente scettico che un moltiplicatore di 1 possa veramente produrre gli effetti descritti. Da quello che posso capire, l'assunzione di base e' che l'effetto sul PIL sia praticamente permanente. Mi sembra un' ipotesi un po' discutibile se devo essere sincero. Una volta che lo stock di CCF detenuti dal pubblico e' constante, la spesa pubblica deve per forza ridursi. Non mi sembra menzionato alcun effetto di riduzione della PIL dovuto a questa contrazione. In pratica il pagamento dei CCF sembra avere un moltiplicatore di zero...
Una volta che lo corregge per tener conto dei part-time (quindi guardando alle ore effettive lavorate) il tasso di partecipazione è molto più basso rispetto all’inizio della crisi.
EliminaSull’altro punto: non c'è contrazione perché a regime i CCF utilizzati sono uguali ai CCF emessi. Smettono quindi di aumentare ma non si riducono. Lo stock rimane invariato in valore assoluto anche se si riduce in proporzione al PIL (grazie alla crescita reale e alla previsione che l’inflazione si riporti al target BCE del 2%).
Ma la spesa pubblica deve contrarsi una volta che il livello di CCF e' stabile. L'alternativa e' che 200bn di CCF possono finanziare una spesa pubblica di 100bn all'anno per l'eternita'...
EliminaSe consideriamo i CCF come moneta, l'emissione sarebbe l'equivalente di un one-off injection di base monetaria. Una volta che e' stato emesso l'intero bilancio (200bn nel suo esempio), non ci sono risorse aggiuntive.
Per semplificare, immagini che i CCF sono veramente moneta (e' quindi non scadono). Se ne emettono 100bn e la spesa pubblica e il PIL aumenta di 100bn. Lo stato riceve 50bn in tasse aggiuntive. I CCF sono spesi per cui il secondo anno le unice risorse aggiuntive sono i 50bn di tasse. Ma queste sono meno dei 100bn di spesa aggiuntiva, per cui con lo stesso moltiplicatore, il PIL scende di 50bn (piu' la crescita normale, ma assumiano sia zero per semplicita'). Terzo anno le tasse sono solo 25 e cosi via...
Si potrebbe quadrare il cerchio assumendo che una volta che la crisi (o l'output gap) e' passato il moltiplicatore ritorna a zero, per cui la contrazione di spesa pubblica negli anni successivi non ha effetti di contrazione della domanda. Non e' di certo uno scenario impossibile, ma lo si deve spiegare chiaramente...
"Ma la spesa pubblica deve contrarsi una volta che il livello di CCF e' stabile": e perché mai ? dopo il recupero iniziale prodotto dall'introduzione dei CCF, il PIL reale continuerà a crescere mediamente del 2% circa (livello compatibile con i miglioramenti tecnologici e l'accumulo di capitale fisico consentito dalla ripresa degli investimenti) e la spesa pubblica potrà aumentare di conseguenza.
Elimina"Più la crescita normale, ma assumiamo sia zero per semplicità": non è zero, vedi sopra...
Ma sostenere che il PIL cresce mediamente del 2% cosa vuole dire? Che l'output potenziale cresce del 2%? O che l'economia cresce del 2%. Queste sono due cose differenti.
EliminaIn ogni caso, qualsiasi sia la crescita potenziale del sistema economico italiano, il suo progetto dovrebbe essere comunque applicabile. Non vedo perche' il tasso di cresita potenziale influenzi l'argumento. In caso di output gap, uno stimolo della domanda dovrebbe creare catch-up growth anche in mancanza di una crescita del potenziale economico. Vista la situazione demografica, zero crescita reale non mi sembra nemmeno cosi' assurda come assunzione purtroppo.
Visto che la teoria dovrebbe valere in entrambi casi, un modello senza inflazione e growth mi sembra piu' semplice da analizzare.
L'unico modo per riconciliare il suo argomento e' aver un moltiplicatore fiscale che e' funzione dell'output gap. In questo caso, i meccanismi che cita potrebbero rendere l'effeto fiscale irrilevante una volta passata la crisi. Non nego che questo sia possibile (e' una caratteristica abbastanza comune in letteratura), ma mi sembra piu' utile sottolineare i meccanismi...
"Ma sostenere che il PIL cresce mediamente del 2% cosa vuole dire? Che l'output potenziale cresce del 2%? O che l'economia cresce del 2%. Queste sono due cose differenti": che l'output potenziale cresce del 2%, e l'economia mediamente anche - SE non si adottano politiche disastrose come quelle che sono state inflitte all'Italia negli ultimi anni...
Elimina"In caso di output gap, uno stimolo della domanda dovrebbe creare catch-up growth anche in mancanza di una crescita del potenziale economico": infatti il forte recupero nei primi tre anni del programma è dovuto a quello.
"Vista la situazione demografica, zero crescita reale non mi sembra nemmeno cosi' assurda come assunzione purtroppo": ma ci sono anche la tecnologia che progredisce e il capitale fisico che si accumula - se ripartono gli investimenti, cosa che avverrà sicuramente via via che si colma l'output gap. E ripartirà anche la demografia (oggi non si fanno figli perché non si trova lavoro, o si trovano posti precari e malpagati).
"Visto che la teoria dovrebbe valere in entrambi casi, un modello senza inflazione e growth mi sembra più semplice da analizzare": ma se la semplicità va a scapito dell'affidabilità, non aiuta...
"L'unico modo per riconciliare il suo argomento e' aver un moltiplicatore fiscale che e' funzione dell'output gap": ma è così. Quando c'è molto potenziale inespresso lo stimolo fiscale aumenta la produzione. Se non c'è, si scarica invece sull'inflazione.
Beh nella sua tabella il moltiplicatore e' sempre 1. Quindi non e' funzione dell'output gap... A me sembra un punto importante, perche' almeno si ritorna a discutere di quali e' l'output gap e di cosa possa colmarlo.
EliminaSinceramente dubito che il potenziale di crescita italiano e' veramente il 2%. Forse con una politica di immigrazione economica molto piu' liberale sarebbe anche possibile. La crescita demografica in eta' da lavoro e' negativa e quindi anche con lo sviluppo tecnologico/infrastruttura non e' detto si arrivi sopra lo zero.
Quanto ad un ritorno alla crescita demografica interna, e' di certo possibile, ma di difficile attuazione. Richederebbe un cambiamento culturale ingente: o un ritorno ad un ruolo femminile come nel passato (quasi impossibile spero) o un significativo passo in avanti. Non e' un caso che paesi come Giappone e Italia, dove la transizione non si e' mai completata sono anche i paesi con i peggiori problemi demografici. Inoltre ha effetti ingenti solo su periodi molto piu' lunghi della ciclo economico.
In ogni caso, abbassare l'eta' pensionabile, limitare gli orari di apertura dei negozi e rendere nuovamente piu' rigido il mercato del lavoro non mi sembrano molto utili ad alzare il potenziale economico...
"Beh nella sua tabella il moltiplicatore e' sempre 1. Quindi non e' funzione dell'output gap": qui ha ragione, è un punto da correggere. Comunque dopo che le emissioni di CCF hanno raggiunto il loro picco (al terzo anno) non è più rilevante. E fino a quel momento l'output gap c'è. In ogni caso il punto vero è che è ultraconservativo il moltiplicatore 1 quando c'è ancora output gap, ed è normale l'1 successivamente.
Elimina"Sinceramente dubito che il potenziale di crescita italiano e' veramente il 2%. Forse con una politica di immigrazione economica molto più liberale sarebbe anche possibile": basta anche qualcosa di meno, tipo l'1,5%. Ma io sono decisamente più ottimista, compreso sulla possibilità di una politica migratoria più graduale e mirata (facendo arrivare persone con i tempi e le condizioni per inserirle adeguatamente: la popolazione italiana è passata da 55 a 60 milioni in quel modo, tra gli anni 90 e 00, nonostante un saldo nati / morti già allora nullo).
"In ogni caso, abbassare l'eta' pensionabile, limitare gli orari di apertura dei negozi e rendere nuovamente più rigido il mercato del lavoro non mi sembrano cose molto utili ad alzare il potenziale economico": mandare in pensione i lavoratori a 67 anni e ultraprecarizzare il lavoro mi pare si stia rivelando decisamente peggio...
Uno moltiplicatore di 1 a regime mi sembra lontanto dal consenso della letteratura. Sinceramente la mia aspettativa di moltiplicatore a output gap chiuso e' zero per quanto riguarda la crescita reale (e pure nominale con una CB che fa inflation targeting). Alcuni studi arrivano fino a 2 in caso di profondi output gaps. Personalmente sono scettico questa sia la situazione in Italia, ma e' difficile da stabilire.
EliminaTra l'aspettativa di vita e la crescita (e i rendimenti) in calo la situazione pensionistica e' un problema supply-side a mio parere. Molte statistiche trovano grande correlazione tra reddito e aspettativa di vita, per cui un rialzo dell'eta' pensionistica e' potenzialmente ingiusto. Su questo si dovrebbe in parte trovare un qualche aggiustamento. Ma l'abbassamento dell'eta' pensionistica a questo punto lo sarebbe ancora di piu'. Il benefico sarebbe pressoche' lineare col reddito. Tra spendere soldi in sussidi di disoccupazione o ancor meglio investimenti e regalare un anno aggiuntivo di salario a quelli che il lavoro c'e' l'hanno gia' sinceramente non avrei molti dubbi...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaChe oggi l’Italia sia in situazione di pesantissimo output gap è, mi perdoni, incontestabile. Ad output gap chiuso, le azioni espansive non sono più opportune, quindi il livello del moltiplicatore diventa un non problema.
Elimina