Lo scenario in cui Draghi rimane a capo del governo per l’intera legislatura che partirà con le elezioni politiche del 2023 mi appare il più plausibile. Non mi riempie di giubilo, ma non vedo di meglio (non tra le cose che rientrano nel novero delle possibilità; poi se volete possiamo discutere di scenari ideali, ma non ci porta lontano).
L’alternativa è che Draghi venga eletto presidente della repubblica a inizio 2022. Problema: chi va a Palazzo Chigi, nell’immediato e (soprattutto) dopo le elezioni politiche dell’anno dopo ?
Le politiche del 2023 con ogni probabilità le vincerà il centrodestra. Ma vi immaginate che spazi d’azione avrebbe un governo Salvini o un governo Meloni, sul terreno dell’economia ?
La cosa che serve di più, che è totalmente essenziale per l’Italia, è superare i vincoli dell’eurosistema in forma e in misura adeguata non solo a recuperare entro il 2022 tutta la caduta di PIL causata dal Covid (questo è plausibile, quantomeno se i lockdown non riprenderanno).
Serve anche, successivamente, che l’Italia cresca più velocemente della media dell’Eurozona, iniziando finalmente a recuperare i catastrofici danni prodotti dall’euroausterità.
Questo un presidente del consiglio centrodestro non riuscirà a ottenerlo. Politiche fiscali adeguatamente espansive si scontreranno contro il muro interno ed esterno dell’establishment, a meno che non le ponga in atto qualcuno a cui l’establishment non può dire di no. E ditemi voi chi possa essere questo qualcuno se non Draghi.
Mentre se mai le politiche le vincesse il centrosinistra (scenario improbabile ma chissà) possiamo dare per scontato: o che al governo ci resterebbe, comunque, Draghi; oppure (enormemente peggio) che ci andrebbe un lacchè di Bruxelles.
Chiarisco che non mi aspetto una revisione in senso espansivo del patto di stabilità e del fiscal compact. L’assenso tedesco a questo non arriverà mai. Mi aspetto, o quantomeno mi auguro, che l’Italia faccia quello che hanno fatto Francia e Spagna per tantissimi anni (e continuano). Non contestare le regole, e poi però non rispettarle, facendo leva sulle “flessibilità di interpretazione”.
A febbraio dicevo che un mese sarebbe bastato per comprendere se Draghi avrebbe attuato politiche sufficientemente espansive. Mi sono sbagliato, il giudizio è ancora sospeso. Però se non ho certezze, non sono (almeno per ora) neanche pessimista. Si capirà molto di più con la legge di bilancio 2022, a settembre-ottobre.
Non sono pessimista perché non vedo Draghi rovinarsi la reputazione di vincente comportandosi come un Letta o come un Gentiloni. E perché è atlantista almeno quanto europeista, e agli USA una UE ferocemente deflattiva e depressiva non va bene.
Non se la rovinerà, la reputazione, se rimane a capo dell’esecutivo. Da presidente della repubblica – posizione inevitabilmente più distaccata – ne sono molto meno sicuro.
Alternativa ? fare affidamento sul “tanto peggio, tanto meglio”. Puntare allo schianto della nave sull’iceberg, cioè all’introduzione di un’austerità feroce su ispirazione tedesca, che porti alla rottura del sistema. Il “problema” è che questo non succederà. Con un presidente del consiglio debole in Italia avremmo ulteriori guai – grossi - per la nostra economia, ma non sarebbero guai temporanei destinati a risolversi a rottura dell’euro consumata. L’austerismo tedesco non punta alla rottura – l’euro gli serve troppo, e in Germania lo sanno.
Ovviamente quello che ho delineato non è lo scenario migliore che si possa immaginare. Le azioni di Draghi non saranno mai inclusive e socialmente responsabili come vorrei. E non è una situazione ideale anche perché, ammesso che la mia previsione sia corretta e che Draghi duri al governo fino al 2028, a quel punto avrà ottant’anni suonati, ed immortale non è.
Comunque in
sette anni succedono tante cose.
Sette anni possono essere sufficienti perché qualcosa cambi in modo rilevante, mentre un anno e mezzo (cioè da qui alle politiche 2023) non sono abbastanza. IMHO.
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