Questo breve articolo di Gustavo Piga parte con una considerazione interessante, che condivido,
e scivola però, successivamente, nei luoghi comuni.
L’affermazione
condivisibile è che tutti i dibattiti tra governo italiano e commissione
europea in merito alla flessibilità e alla concessione dei richiesti (dall’Italia)
decimali in più di deficit pubblico / PIL sono in realtà nient’altro che uno
stucchevole balletto. La UE non può assolutamente permettersi di forzare l’Italia
– nell’attuale situazione di congiuntura mondiale incerta e, soprattutto, di
crisi cronica dell’Eurozona – ad attuare una manovra restrittiva. Né tantomeno
può accettarlo Renzi.
Al di là,
quindi, di qualche discussione più formale che sostanziale, e di qualche
intervento semicosmetico, non ci saranno manovre o correzioni di rotta
rilevanti.
Di conseguenza
si proseguirà galleggiando sulla tendenza attuale, che è di asfittica crescita
del PIL. Forse lo zero virgola del 2015 diventerà (già ci vuole fortuna) un uno
virgola, ma cambia poco o niente. Nessuna ripresa dell’occupazione, né tantomeno
uscita dalla trappola della liquidità.
La soluzione
passa tramite l’adozione di politiche fiscali espansive, tramite sostegno della
domanda e incremento del potere d’acquisto in circolazione. Questo però i
decimali di flessibilità chiesti da Renzi non lo ottengono: siamo, appunto, su
livelli di semplice galleggiamento.
Quest'ultimo concetto
Piga – economista con etichetta keynesiana - lo condivide, ma poi salta a
conclusioni alquanto dubbie. Invoca “massicci tagli negli sprechi (quelli veri)
per finanziare un altrettanto massiccio piano di investimenti pubblici”. Il che
crea nel lettore diverse confusioni.
Intanto lascia
intendere che i problemi dell’economia italiana potrebbero essere risolti con
un intervento di riallocazione – spesa totale invariata, ma diversamente distribuita.
Peggio ancora, alimenta il mito (uno dei luoghi comuni smentiti dal pensiero
keynesiano) che gli “sprechi” siano sempre, di per sé, una negatività
economica.
Ora, è controintuitivo,
ma appunto per questo è importante ribadirlo: gli “sprechi” sono comunque un
modo di mettere in circolazione potere d’acquisto. Se le risorse produttive sono
già adeguatamente impiegate, questo è un grave errore (alimenta inflazione e
non espansione economica). Ma in un contesto di domanda depressa, al contrario,
la espande, e avvia una catena di effetti positivi su produzione e occupazione.
Quanto sopra
ovviamente NON implica che la qualità e l’efficienza della spesa non abbiano importanza. Ce l’hanno: ma affermare che l’azione debba consistere in investimenti
pubblici a fronte di tagli di spesa, significa dare per scontato che la
riallocazione produrrà notevoli vantaggi.
E qui veniamo al
luogo comune implicito in quanto sopra: che la spesa pubblica italiana sia
disastrosamente inefficiente, e che quindi grandi benefici possano essere
ottenuti dalla riallocazione verso gli investimenti.
E’ vero – banalmente vero,
in effetti – che si può sempre spendere meglio. Ma se il settore pubblico
italiano spende male, bisognerebbe intanto capire quale miracoloso meccanismo
dovrebbe creare fantastici vantaggi tramite una riallocazione, visto che le
strutture burocratiche che gestiscono la spesa in definitiva sempre quelle sono.
Inoltre, quanto
è supportato dai fatti (non dalle chiacchiere da bar) il concetto che la spesa
corrente italiana sia un disastro di inefficienza ? Su circa 800 miliardi di
spesa pubblica, quasi 300 sono trasferimenti (principalmente pensioni e
interessi sul debito pubblico), che non costituiscono una componente del PIL
(altro fatto che si tende a dimenticare).
Gli altri 500
circa sono la quota di spesa pubblica che invece concorre direttamente alla
formazione del PIL. Per prendere due esempi significativi, oltre 100 sono costi
del sistema sanitario, e 50 del sistema della pubblica istruzione. Fa già più
del 30% del totale.
Bene: il sistema
sanitario italiano è considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità uno
dei cinque migliori al mondo, sulla base di indicatori oggettivi di risultato
(mortalità infantile, durata della vita, incidenza e trattamento delle malattie
croniche ecc.) raffrontati alla spesa.
E in base ai
test Invalsi, la qualità degli studenti italiani provenienti da scuole
pubbliche è in linea con le medie OCSE (non meglio ma neanche peggio), a fronte
peraltro di una minore incidenza della spesa rispetto al PIL.
Può darsi che l’altro
70% della spesa pubblica italiana sia una tale cloaca di inefficienza da
mandare a fondo il sistema. Io però crederò a un’affermazione di questo tipo se
e quando leggerò analisi complete e oggettive (non aneddoti) che lo provino e
lo quantifichino.
E poi crederò
che con la riallocazione di spesa si può ottenere qualcosa d’importante in
tempi ragionevoli quando vedrò un piano d’intervento plausibile. Ricordando
però che i miglioramenti di efficienza, soprattutto nelle organizzazioni
complesse, nascono pressoché sempre da azioni ad effetto graduale.
Detto altrimenti: se sono l’azionista di una
società e un candidato manager viene a dirmi che può ottenere miracoli di
efficienza, e poi dati oggettivi, da fonti indipendenti e plausibili, mostrano
che dove la vado a misurare la mia organizzazione (in termini per esempio di produttività,
o di vendite per addetto) non è affatto peggio rispetto agli operatori
comparabili… beh, quel candidato manager mi lascia molto, ma molto scettico.
"Investimenti pubblici a fronte di tagli di spesa": chiudere un ospedale per costruire un viadotto - sicuri che sia un vantaggio ? sempre e comunque ?? De minimis, dipende...
RispondiEliminasono completamente d'accordo..complimenti per la chiarezza..
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