Da quattro anni mi
affaccendo a sviluppare e promuovere una soluzione ai problemi nati dall’introduzione
dell’euro come moneta comune di un gruppo di paesi europei – tra cui, purtroppo
per noi, l’Italia.
La soluzione identificata,
la Moneta Fiscale o CCF o Certificati di Credito Fiscale, è una forma di
strumento monetario parallelo, che supera le disfunzioni dell’euro senza che lo
si debba “rompere”.
E i motivi per
evitare la rottura sono fondamentalmente due.
Da un lato, si
tratterebbe di un fenomeno complicato da gestire sul piano tecnico e operativo.
Dall’altro
(probabilmente ancora più importante) è difficile costruire il necessario
consenso politico per attuare un passaggio “deflagrante”.
Tutto ciò premesso,
trovo che siano parecchio fuori strada alcuni commentatori i quali (1) condividono
la valutazione negativa del progetto euro; (2) concordano che sarebbe stato di
gran lunga meglio non avviarlo; ma (3) delineano scenari catastrofici
nell’eventualità che l’euro venga meno. Questo, non solo e forse neanche
principalmente per la complessità del passaggio tecnico-politico, ma per la
presunta ingestibilità della situazione che si verrebbe a creare
successivamente.
Un esempio. In questo articolo, co-firmato da alcuni economisti di ottima fama, si legge a un
certo punto che “rimosso l’euro, ci ritroveremmo quindi comunque in un vincolo
esterno di domanda estera che difficilmente ci permetterebbe di perseguire
politiche espansive, una volta tolto il cordone ombelicale con la BCE e senza
più accesso al mercato dei capitali”.
L’Italia ha “un
vincolo esterno di domanda estera” ? l’Italia nel 2016 sta generando un surplus
commerciale di 60 miliardi e la posizione finanziaria netta sull’estero è
negativa solo in misura modesta (23% del PIL, grosso modo gli stessi livelli di
Francia, Regno Unito e USA) e declinante (grazie appunto ai surplus
commerciali).
L’Italia non ha un
problema di deficit nell’interscambio estero. L’Italia ha subito una
pesantissima contrazione della domanda interna.
Nel 2015 i consumi interni sono stati pari (a valori corretti per l’inflazione)
a 1.313 miliardi di euro contro 1.385 nel 2007 (l’ultimo anno prima dell’inizio
di questa crisi infinita). Gli investimenti, a 273 miliardi contro 386.
Stiamo parlando di
oltre 70 miliardi di consumi e di oltre 110 miliardi di investimenti in meno.
Per contro, il saldo commerciale estero è migliorato di quasi 50 miliardi su
base annua.
L’Italia non ha
bisogno di fare affidamento su un boom dei saldi esteri. Ha bisogno di
rilanciare il potere d’acquisto domestico: cosa ottenibile superando i vincoli
dell’Eurosistema grazie all’utilizzo di una moneta nazionale. Per ottenere
questo, non serve “il cordone ombelicale della BCE” e neanche “l’accesso al
mercato dei capitali” internazionale.
Sicuramente
importante, peraltro, è migliorare la competitività delle produzioni
domestiche, ma la ragione non è l’esistenza di un deficit commerciale da
riequilibrare: al contrario che nel 1992, siamo in posizione di surplus. Il
miglioramento di competitività – che può essere ottenuto con un riallineamento
valutario oppure, come propone il
progetto Moneta Fiscale, con la riduzione del cuneo fiscale a beneficio (anche)
delle aziende – serve a ottenere un altro obiettivo: a evitare che una parte
dell’espansione di domanda interna si disperda a seguito di maggiori
importazioni.
Uscendo dai
vincoli dell’Eurosistema, l’Italia può rilanciare domanda, occupazione e PIL a
saldi commerciali esteri invariati.
Senza far affidamento sulla domanda estera – e senza scaricare problemi propri
sui partner commerciali.
Peraltro, che
introducendo una moneta nazionale l’Italia perderebbe “l’accesso al mercato dei
capitali” è l’ultima delle preoccupazioni. In primo luogo, perché questo
accesso non è certo mancato ai tempi della lira, e non si vede perché debba
venir meno a una delle prime dieci economie mondiali, tra l’altro in posizione
attiva nei rapporti commerciali con l’estero.
In secondo luogo,
perché l’azione espansiva sulla domanda interna può e deve fare affidamento su
risorse nazionali: e la vera, principale risorsa è costituita dalla capacità
produttiva oggi inutilizzata, dai disoccupati da rimettere al lavoro, dalle
aziende da riportare al pieno utilizzo degli impianti.
Certe affermazioni
danno l’impressione di basarsi sull’ipotesi implicita che la moneta nazionale
italiana non sarebbe (come invece, naturalmente, era prima nell’euro)
convertibile, dotata di valore e attivamente scambiata sui mercati finanziari.
Siamo in altri termini alla teoria della “pizza di fango”: tutte le economie di
dimensione minimamente significativa (Eurozona esclusa, per propria scelta)
emettono moneta, tutte queste monete hanno un valore, ma - per motivi arcani e
imperscrutabili - per noi non sarebbe così. L’unica alternativa all’euro, per
l’Italia, è il baratto ? scherziamo ?
Va anche notato
che la preoccupazione in merito a un presunto mancato accesso al mercato dei capitali
internazionali, oltre a essere infondata, lascia anche perplessi in quanto
proprio la dipendenza da questi
mercati è all’origine di tensioni e crisi finanziarie che affliggono tantissimi
paesi, in particolare in quest’ultimo paio di decenni. Si parla sempre più
frequentemente di regolamentare i flussi di capitale: bene, la regolamentazione
migliore è averne bisogno il meno possibile, e il modo migliore per averne
bisogno il meno possibile è disporre della propria moneta…
Proprio pochi
giorni fa Thomas Fazi rammentava una celebre citazione di John Maynard Keynes,
che con la consueta eleganza faceva luce su questo tema: “I sympathize… with
those who would minimize, rather than those who would maximize, economic
entanglement between nations. Ideas, knowledge, art, hospitality, travel –
these are the things which should of their nature be international. But let
goods be homespun whenever it is reasonably and conveniently possible; and
above all, let finance be primarily national”.
Above
all, let finance be primarily national.
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaComplimenti professore, post molto chiaro e articolato. Aggiungo che leggerei con piacere un suo secondo libro, magari di aggiornamento del primo con i nuovi e più recenti dati macro
RispondiEliminaE sarebbe bello che ci fosse anche da aggiornarlo in funzione di un'evoluzione positiva del quadro politico... serve però un governo diverso, credo. L'attuale continua ad abbaiare (con la UE) e a non mordere. Io farei il contrario: introdurrei la Moneta Fiscale affermando (ed è la verità) che è il modo per rilanciare l'economia senza aumentare il debito (da rimborsare in euro) di un centesimo. Ma senza proclami e senza strombazzamenti mediatici.
EliminaGrazie prof.Cattaneo.E se qualcuno proponesse quanto lei indica come possibile soluzione?
RispondiEliminaLo stiamo proponendo eccome, a tutti gli schieramenti politici. Incluso al governo (ma dubito che succederà qualcosa fino a quando non ci sarà un avvicendamento).
EliminaGrazie prof.Cattaneo.E se qualcuno proponesse quanto lei indica come possibile soluzione?
RispondiElimina