domenica 9 gennaio 2022

Ma quali riforme strutturali

 

L’elenco delle baggianate euriste che si sono lette e ascoltate in questi anni è decisamente moooooolto lungo, però in posizione alta nella classifica c’è quella secondo cui “l’euro non c’entra, l’Italia ha un problema di produttività, lì bisogna intervenire: con le riforme strutturali”.

Le fantomatiche riforme strutturali, lo dicevo parecchio tempo fa ma rimane totalmente vero oggi, non si è mai capito quali dovrebbero essere, salvo precarizzare il lavoro, tagliare il welfare state e comprimere verso il basso retribuzioni e diritti.

Tutto questo non ha risolto nessun problema dell’economia italiana (anzi) e in particolare non ha fatto assolutamente nulla di positivo per la produttività (ri-anzi).

Tuttavia la litania eurista rimane la stessa: la medicina ha fatto male “quindi” aumentiamo le dosi, perché “evidentemente” non se ne è assunta abbastanza. L’eventualità che sia sbagliata la cura non è contemplata.

La stagnazione della produttività del lavoro in Italia parte esattamente con l’aggancio all’euro. In altra sede ho fornito gli elementi per smentire la farloccata della Total Factor Productivity, secondo la quale i problemi di produttività non sarebbero iniziati a fine anni Novanta, ma trent’anni prima (quando invece produttività del lavoro e redditi procapite sono cresciuti più che bene in quel trentennio).

La crescita della produttività è una conseguenza degli investimenti in impianti, infrastrutture, ricerca, e organizzazione. I quali investimenti possono essere effettuati dal settore pubblico, o dal settore privato.

Gli investimenti pubblici sono stati compressi dalle politiche di contenimento della domanda interna, a cui l’Italia si è assoggettata per “centrare i vincoli di Maastricht” e per (non) risolvere il problema (inventato, perché non sarebbe mai esistito lasciandolo in lire) del debito pubblico.

E la compressione della domanda interna ha potentemente disincentivato le aziende a investire in Italia. Se il mercato non si sviluppa e chi ci opera fa meno utili, ovviamente si ha molto meno voglia, e molte meno possibilità, di investire.

Il problema della produttività italiana nasce con l’euro. È risultato molto più acuto in Italia rispetto alla media dell’eurozona perché i Nordeuropei hanno tratto beneficio da una moneta che per i loro fondamentali era debole (al contrario che per noi). E perché altri paesi mediterranei – Spagna ma anche Francia – non hanno compresso la domanda interna nella misura in cui l’abbiamo fatto noi.

Perché, si dice, avevano meno debito pubblico. Ma qui torniamo al tema euro: la difficoltà a finanziare il debito nasce dall’averlo convertito in moneta straniera. L’alto debito pubblico italiano era uno dei (vari) motivi per cui l’Italia nell’euro non ci doveva proprio entrare (ammesso che creare l’euro fosse utile o necessario per qualche altra ragione, cosa a cui non credo per niente).

Il problema della produttività italiana è risolvibile – facilmente – in presenza di una profonda e appropriata revisione delle regole di funzionamento dell’eurosistema.

Se l’assetto attuale non muta, nessuna “riforma strutturale” lo risolverà. Anzi.

 

4 commenti:

  1. Luca Pieroni: La pensiamo "paro paro", ma temo siamo in pochi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Siamo in tanti, purtroppo la pensano diversamente (o gli fa comodo far finta di) quelli che decidono. Per ora.

      Elimina
    2. Luca Pieroni: allora come si fa a convincere /sostituire quelli che decidono? Il problema esiste da tempo...

      Elimina
    3. Creando convergenze di interessi in direzione opposta. Con il bonus 110 già in misura significativa ci si è riusciti. Chiaro che non basta, ma è un passo importante nella direzione giusta.

      Elimina