Non è mai una cattiva
idea dare un’occhiata ai dati dell’economia giapponese, per rendersi conto di
quanto siano fuori strada le tesi euroausteriche.
Un economista mainstream
è di regola convinto che un alto livello di debito pubblico, soprattutto se
finanziato da acquisti della banca centrale (quindi da emissione di moneta) non
può che avere terribili impatti sull’inflazione. Specialmente nel periodo in
cui fattori esogeni (il dissesto delle catene di fornitura post Covid, la
guerra in Ucraina) la spingono (l’inflazione) verso l’alto.
E’ la storia del triennio
2021-3, che forse sta volgendo al termine ora.
Vediamo cosa ci dice l’ultima
edizione (ottobre 2023) del World Economic Outlook pubblicato dal Fondo
Monetario Internazionale.
Confrontando tre grandi
blocchi economici, gli USA a fine 2023 hanno un debito pubblico pari al 123,3%
del PIL, di cui il 26,6% detenuto dalla Federal Reserve.
L’Eurozona, l’89,6% del
PIL, di cui il 15% posseduto dalla BCE.
Il Giappone, il 255,2%
del PIL, di cui il 96,7% posseduto dalla Bank of Japan.
Quindi – penserà il
nostro baldo euroausterico – il Giappone non può che affogare nell’inflazione
incontrollata, anzi nell’iperinflazione, giusto ?
La realtà dei fatti è che
la variazione media annua dell’indice dei prezzi al consumo, tra 2021 e 2023,
negli USA è stata pari al 5,1%.
Nell’Eurozona, al 5,5%.
E in Giappone ? all’1.8%.
A quanto pare, un alto
debito pubblico largamente finanziato da emissione di moneta TIENE L’INFLAZIONE
BASSA…
Giovanni Albin: ma allora in Giappone il risparmio privato è tutto indirizzato verso le banche private ? Allora come fa la finanza privata a sopravvivere ? Investono tutto in obbligazioni e azioni ?
RispondiEliminaIl risparmio privato è molto alto appunto perché è alto il debito pubblico…
EliminaLuca Pieroni: Avrei da dire anche 2 paroline su come si calcola l'inflazione oggi, mondo molto diverso da quello di 20 anni fa. Misurare l'inflazione sulla "variazione dei prezzi" oggi è assolutamente fuorviante in quanto andrebbe misurata sui prezzi effettivamente pagati che è cosa diversa. Se il miele d'acacia ha raggiunto un prezzo tale che il consumo è crollato l'aumento non può essere indicatore di nulla... il prezzo è aumentato ma fuori della soglia accettabile per il consumo... in altre parole è lo scontrino reale che fornisce l'inflazione non la presentazione di prezzi a fronte dei quali il consumatore applica sostituzioni oggi possibili e non anni fa.
RispondiEliminaForse il problema è risolvibile usando il deflatore della componente consumi del PIL, che dovrebbe "gestire" gli effetti di sostituzione.
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