Il Rapporto Svimez, pubblicato nel luglio scorso, ha dipinto un quadro particolarmente
fosco della situazione economica e industriale del Mezzogiorno italiano. I dati
sono sconfortanti ma non c’è, purtroppo, motivo di stupirsene.
Nei giorni
precedenti all’uscita del Rapporto stavo, del resto, riflettendo su alcuni
semplici indicatori. Dall’inizio della crisi, l’Italia ha perso approssimativamente
un milione di posti di lavoro, su un totale iniziale di 23 milioni circa: grosso
modo il 4,5%. Metà della perdita si è prodotta per effetto della “crisi
Lehman”, prevalentemente tra il 2009 e il 2010. L’altra metà, tra il 2012 e il
2013, è attribuibile al giro di vite alle politiche di austerità “ispirato”
dalla UE.
Questo calo del
4,5% è la media tra due realtà geografiche ben distinte. La riduzione degli
occupati è stata del 2% al Centro-Nord e del 12% nel Mezzogiorno (definito come
ex Regno delle Due Sicilie più Sardegna).
Dico “ex Regno
delle Due Sicilie” non casualmente. L’Italia è (come l’Eurozona) un’unione
monetaria costruita condizioni ben lontane da quelle appropriate, e 150 anni
di unità politica non hanno risolto il problema.
Addolora, ma non
sorprende, che l’ingresso nell’euro abbia ulteriormente esasperato il problema.
Se la Sicilia, la Calabria, la Campania non reggevano il cambio fisso con la
Lombardia e il Veneto, che cosa ci si poteva aspettare dando loro la stessa
moneta della Baviera e della Renania ?
Tuttavia, ogni
bicchiere mezzo vuoto è anche mezzo pieno. Se i dati del Sud sono pessimi,
quelli del Centro-Nord – pur non certo brillanti – non sono tragici. Perdere il
2% di occupazione in sette anni di crisi non è nulla di cui essere felici, ma
indica che la base produttiva settentrionale ha subito colpi e danni, ma è
sostanzialmente ancora intatta.
In effetti,
induce (potenzialmente) all’ottimismo anche la constatazione che la tipica PMI
del Centro-Nord ha perso fatturato sul mercato interno e l’ha invece guadagnato
all’export. Se fatturava 100 milioni del 2007, 50 in Italia e 50 all’estero,
oggi magari è a 95, 40 in Italia e 55 all’estero.
Nonostante le
difficoltà indotte dal cambio fisso con il Nord Europa, le PMI italiane
centro-settentrionali hanno saputo seguire la crescita generale dei mercati
mondiali e delle economie emergenti, soffrendo invece soprattutto per il calo
di potere d’acquisto che l’austerità montiana e post-montiana ha inflitto alla
domanda domestica.
Ora, recuperare
fatturato interno, se la domanda riparte, è molto più facile che crescere
all’estero. Perché un’azienda italiana che ha saputo vendere di più, nonostante
tutte le difficoltà del periodo, a Shanghai o a San Francisco dovrebbe avere
problemi a incrementare il giro d’affari a Treviso, a Grosseto o a Lecce – se i potenziali clienti hanno più potere
d’acquisto a disposizione ?
La metà piena
del bicchiere dell’economia italiana è una struttura produttiva valida e
qualitativa, al Centro-Nord, a cui le politiche di ispirazione UE e i vincoli
dell’Eurozona creano mille difficoltà – ma che è ancora largamente intatta.
La metà vuota è
il Sud assistito, che soffre molto di più perché calano costantemente le
risorse per alimentare i trasferimenti.
L’Italia ha
davanti a sé due grandissime opportunità.
La prima è uscire dai vincoli dell'attuale Eurosistema, con un progetto quale i
Certificati di Credito Fiscale, rilanciando immediatamente e congiuntamente sia
la domanda interna che la competitività delle aziende.
La seconda, è
far leva sulla flessibilità del progetto CCF per avviare, finalmente, un’azione efficace e mirata di incentivazione alle iniziative imprenditoriali del Sud,
abbassando ancor più che al Nord (mediante una sovra-allocazione di CCF) il
costo del lavoro lordo a parità di retribuzione netta, e rendendo, nel tempo,
sempre meno necessari i trasferimenti, e le inefficienze e il malaffare che ne
derivano.
Rimango
assolutamente convinto che, a partire dal
momento in cui ci si incamminerà nella direzione giusta, in qualcosa come
tre anni l’Italia può riassorbire, sostanzialmente, tutti i danni causati dalla
crisi.
Non vi dico, invece, che in tre anni, o in dieci,
la Calabria può diventare la Lombardia. Ma avviarsi nella riduzione giusta, e colmare
una parte tangibile delle differenze economiche Nord-Sud, sì, quello è
possibile.
la risposta è semplice, non è vero che l'azienda di treviso può aumentare il suo giro d'affari in italia come fa all'estero assumendo e quindi creando lavoro e quindi potere d'acquisto perché esistono restrizioni reali ad una società che si proclama aperta al mercato ma in realtà non lo è. queste restrizioni impediscono di fatto lo sviluppo. perfino in cina ci sono condizioni di credito migliori. non bastano cioè i soldi come dice cattaneo ma anche una legislazione innovativa. così come non basta la benzina se uno non ha le chiavi per accendere il motore
RispondiElimina"Condizioni di credito" ? non ci siamo capiti. Serve REDDITO DISPONIBILE. Aziende e cittadini devono avere maggiore potere d'acquisto non perchè li induciamo a indebitarsi, ma perchè abbassiamo fortemente la fiscalità e lo Stato riprende a fare gli investimenti necessari. Vedrà che a quel punto avremo benzina, chiavi della macchina, motore funzionante e tutto ciò che serve.
Eliminaquello che voi chiamate detassazione è credito, e quello che voi chiamate investimenti è debito. sono solo parole che non riuscite a pronunciare perché siete stati indottrinati per decenni secondo cui è appunto lo stato a pianificare l'economia e secondo cui è lo stato a dare valore alla moneta. cioè i ccf. sono solo degli ostacoli mentali che non riuscite ad accettare così come un tempo la terra piatta.
EliminaI CCF sono potere d'acquisto attribuito, in netta prevalenza, a cittadini e ad aziende. Non c'è pianificazione dell'economia da parte dello Stato: c'è, questo sì, un'azione anticiclica dello Stato per fare in modo che tutte le risorse produttive del sistema economico siano messe al lavoro. Azione anticiclica indispensabile, altrimenti, come ha ampiamente dimostrato la storia dell'Eurozona dal 2011 a oggi, la crisi non si risolve. Vedi, tra gli altri, il post del 13.5.2015.
Eliminail consumo non crea occupazione, questa legge obsoleta è ormai sfatata dalla globalizzazione. i nazionalismi novecenteschi nascono proprio per usare l'autarchia come arma per risolvere l'enorme disoccupazione della prima guerra mondiale arrivata alla fine di un lungo periodo di globalizzazione che l'aveva appunto creata
EliminaAppunto: come dice lei stesso, la globalizzazione c'era già nella seconda metà dell'Ottocento. E non ha sfatato per nulla il principio che la disoccupazione massiccia nasce dalla carenza di potere d'acquisto nel sistema economico. E si risolve mettendo vita a questa carenza: cosa che lo stato è, in qualsiasi momento, in condizione di fare.
Eliminanon bisogna mettere potere di acquisto in un sistema sbagliato come quello appunto novecentesco e quello attuale. il potere di acquisto si forma da solo come conseguenza di una economia che gira e non va costruito artificialmente come proponete voi e come stanno proponendo i governi europei. la vostra proposta è perfettamente in linea col mainstream attuale europeo. l'unica differenza è che voi volete più soldi. ma l'errore è lo stesso. ovvero pensare di tenere in vita un sistema stampando soldi invece di riformarlo. questo errore o fa collassare il sistema o lo manda in stagnazione
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RispondiEliminaCaro Anomimo, ad onor del vero i soldi sarebbero già stati stampati a sufficienza, se non fosse che alcuni con la pratica dell'aggiotaggio li mettono nascosti nei cassetti. Ma probabilmente sarebbe troppo complicato mettersi a spiegare come si combinano guai trasformando il denaro in una merce come tante. Comunque per semplificare 1000 € che vengono spesi una volta in un anno fanno registrare un pil di mille euro. Se quegli stessi mille euro in un anno passano di mano 100 volte si registrerà un pil di 100.000 euro. Non è detto che muovere il denaro significhi necessariamente stamparlo....
RispondiEliminaBuondì Cattaneo, quindi l'euro non va bene per l'Italia, la Lira non va bene per il Sud Italia, propongo il bullfino, la valuta del mio quartiere. :).
RispondiEliminaIl suo-vostro errore di fondo è che adottando i CCF nessuno si muova in Europa....saluti
Ohibò, il nostro punto di partenza è proprio, al contrario, che i CCF vanno introdotti perché il sistema è disfunzionale e la UE non sa che pesci pigliare per risolvere il problema...
EliminaLa "valuta di quartiere" ? se guarda i dati si accorge che anche in un paese in cui la disomogeneità geografica è particolarmente accentuata, le aree che avrebbe senso accorpare sono due (a Nord di Roma a Sud di Roma), non una per quartiere. Vedi qui per alcuni dati significativi. E vedi anche, nel medesimo articolo, come i CCF possono peraltro gestire il dualismo economico Nord-Sud Italia, anche se l'euro non si spacca.
Certo la proposta dei "certificati credito fiscale"è una soluzione auspicabile,ma più vasta come portata quella dei mini-bot di Borghi.
RispondiEliminaquello che non condivido è la visione edulcorante della condizione reale della nostra industria ,delle PMI ,della struttura della distribuzione e del relativo mercato.Purtroppo la crisi produce in tutte le regioni Italiane pesanti conseguenze!Non è un calo più o meno pesante per i diversi settori ma il crollo di alcuni rispetto a crescita di altri legati peró ben legati al carro tedesco (automotive)Crescite che contengono in sè disastrosi risultati:esempio la drastica riduzione della capacità produttiva Italiana di auto.Industria edilizia e delle costruzioni ,industria del legno e dell'arredamento alla frutta! Dopo la sconfitta del tessile ora arriveranno altri conti in rosso,no non c'è che una soluzione :autonomia monetaria e bancaria!
Io non credo che sia di minor portata, casomai il contrario. Comunque le due soluzione possono essere anche usate in congiunzione - vedi questo post.
EliminaQuanto al potenziale dell'industria e dell'economia, sono assolutamente convinto che si possano recuperare i livelli precrisi e oltre: e anche in fretta. E' bastato un minimo di ripresa (che ripresa non è, al massimo un modestissimo rimbalzo dal periodo più nero) e del 25% di produzione industriale persa abbiamo già recuperato un 7%. E l'export è ai massimi storici: segno che dove la domanda non è artificialmente compressa si vende più di prima. Il punto chiave è la domanda interna - vedi qui.
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