La politica
economica di Obama merita un giudizio positivo ? non più di una stentata
sufficienza. E non aver fatto meglio di una stentata sufficienza ha avuto
un’influenza importante sulle recenti elezioni e sulla sorprendente vittoria di
Trump.
Obama, stando ai
sondaggi, ha concluso la sua presidenza con un buon livello di popolarità, e le
proposte economiche di Hillary Clinton erano percepite come una sostanziale continuità
rispetto ad Obama. Ma Hillary ha perso, e il motivo principale è che larghi
segmenti dell’elettorato USA vivono con malessere la propria condizione.
Disoccupazione sulla carta bassa, ma con partecipazione alle forze di lavoro
ben inferiore al livello pre-2008; disparità dei redditi e ineguaglianza
sociale altissimi e senza alcuna tendenza a ridursi.
Obama si è
insediato, a inizio del 2009, nel pieno di una gravissima crisi, il cui apice è
stato il fallimento Lehman nel settembre del 2008. Le sue azioni iniziali sono
andate nella direzione giusta, con il varo di un importante piano di stimoli
fiscali – 900 miliardi di dollari – che ha invertito il trend e avviato la
ripresa.
Il problema è
che la gravità della crisi e l’effetto di contrazione della domanda interna
sono stati sottostimati. Il piano del 2009 – come notato in effetti, ai tempi,
da parecchi commentatori – per quanto di dimensione assoluta rilevante, sarebbe
dovuto essere ancora maggiore, probabilmente per almeno altri 300 miliardi.
La ripresa USA,
di conseguenza, c’è stata, ma blanda e percepita come insoddisfacente da una
larga parte della popolazione.
Naturalmente
siamo lontani anni luce dai disastri dei vari paesi dell'Eurozona che hanno
seguito le prescrizioni UE. Ma comunque Obama, o meglio il partito democratico,
a partire delle elezioni 2010 hanno perso il controllo del congresso, arrivando
nel 2014 ad essere in minoranza sia alla camera che al senato.
A quel punto
Obama aveva senza dubbio compreso che si sarebbe dovuta intensificare l’azione
espansiva, con un ulteriore programma di spesa rivolto, per esempio, agli investimenti
infrastrutturali. Purtroppo, semplicemente, non era in grado di farlo approvare
dal congresso.
L’amministrazione
USA avrebbe potuto fare qualcosa di meglio per superare questa situazione di
stallo ?
La risposta è
positiva: avrebbe dovuto muoversi diversamente nei confronti della crisi
dell’Eurozona. La situazione economica USA è stata influenzata anche, ovviamente
in negativo e in misura apprezzabile, dalle scellerate politiche di austerità
intraprese nell’Eurozona, a partire soprattutto dal 2011. La pesantissima
caduta di domanda interna eurozonica, principalmente nel 2012-2013, non seguita
da alcuna ripresa di portata paragonabile, è stata un grave fattore frenante
per l’intera economia mondiale, USA inclusi.
La presidenza
USA avrebbe potuto contrastare tutto questo ? sicuramente sì. Mettendo in gioco
il suo peso politico, avrebbe potuto indurre la UE – e soprattutto il governo
tedesco – quantomeno ad attenuare le azioni “prescritte” ai vari paesi del Sud
Europa. Se Obama è stato in grado di persuadere la UE ad imporre sanzioni alla
Russia in conseguenza della crisi ucraina (sanzioni dannose per le economie
europee, che nessuno aveva in realtà voglia di porre in atto…) poteva, analogamente,
mutare la rotta su cui era avviata l’Eurozona. Almeno parzialmente, ma comunque
in misura significativa.
Questo non è
accaduto. Gli USA si sono solo preoccupati di non far deflagrare la situazione.
Hanno supportato il “whatever it takes”
di Draghi, che ha evitato la rottura dell’euro ma non ha invertito il segno
depressivo delle politiche fiscali. Nel 2015, hanno persuaso Tsipras a non
uscire dall’euro promettendo sostegno alle richieste di stralcio del debito
greco – richieste che sono rimaste però, e sono tuttora, lettera morta. In
altri termini si sono solo preoccupati che la barca eurozonica non affondasse,
non che fosse messa in condizioni di navigazione decorose.
Obama non ha
capito quanto il benessere economico USA dipendesse da quello europeo, e quanto
sbagliata fosse la direzione in cui le cose si stavano muovendo oltre
Atlantico. Mentre risolvere la crisi dell’Eurozona, o quantomeno impedire una
gestione così catastrofica, era l’elemento chiave che avrebbe trasformato la
ripresa USA da passabile a robusta. E sarebbero stati, tra l’altro, migliori i
risultati elettorali del partito democratico nel 2010, 2012 e 2014, col che
Obama avrebbe avuto spazi di azione molto maggiori anche all’interno.
Obama si è
scordato dell’Eurozona. E se il 20 gennaio 2017 alla Casa Bianca si insedierà
Donald Trump, e non Hillary Clinton, lo dobbiamo in larghissima misura a
questo.
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