Domenica scorsa, le
elezioni primarie del partito repubblicano francese hanno designato Francois
Fillon quale candidato alle presidenziali della prossima primavera. Una
sorpresa rispetto alle previsioni di qualche settimana fa, che davano favorito
Alain Juppé.
La designazione di
Fillon è vista da molti come un grande favore a Marine Le Pen. Con il
centrosinistra in pieno disarmo, è pressoché certo che il primo turno delle
presidenziali porterà al ballottaggio la La Pen contro il candidato
repubblicano. Ci si aspetta quindi, dagli elettori che si identificano con la
sinistra (più o meno moderata), un voto al candidato repubblicano, in funzione
di “blocco”, o se vogliamo di scelta del male minore, rispetto al Front
National.
Ma Fillon può
scompaginare questi piani perché si presente con connotazioni, e con un programma,
decisamente meno digeribili per un elettore progressista.
I primi sondaggi
post designazione di Fillon per la verità non accreditano questa
interpretazione, attribuendogli anzi (a Fillon) percentuali di consenso
sorprendentemente alte. Ma questo può essere il tipico effetto di “traino
mediatico” di cui beneficia quasi sempre (ma in genere solo temporaneamente) un
candidato vittorioso. Per una valutazione più significativa è meglio attendere
qualche settimana.
Ad ogni modo, l’ipotesi
di una presidenza Fillon ha probabilità significative di avverarsi, il che
rende opportuno iniziare a riflettere sul suo programma economico, definito “thatcheriano”
da molti commentatori.
A prima vista, il
programma si presenta molto, ma molto male. Massicci tagli di spesa pubblica
(100 miliardi), licenziamenti di dipendenti statali (600.000) e due punti in
più di IVA. Il tutto per finanziare riduzioni di imposte e contributi, sia
personali che societarie. Previsti anche incentivi ai titolari di grandi
patrimoni che prendano la residenza in Francia. Il saldo degli interventi
dovrebbe consentire di pareggiare il bilancio pubblico, a fronte di deficit
oggi previsti al 3,3% del PIL nel 2016, e al 3% nel 2017 (fonte FMI, World
Economic Outlook Ottobre 2016).
Eseguito alla
lettera, un programma del genere avrebbe conseguenze pesantemente recessive e
risulterebbe controproducente anche ai fini del tentativo di riequilibrare il
deficit statale. Sarebbe, in effetti, una riproposizione della fallimentare
“austerità espansiva” che ha afflitto l’Eurozona soprattutto a partire dal 2012-2013,
creando danni pesantissimi.
Un “dettaglio”,
tuttavia, potrebbe modificare questa valutazione. Le riduzioni di spesa e i
tagli di dipendenti pubblici sarebbero distribuiti sull’arco di cinque anni. E
il pareggio di bilancio viene sì dichiarato come obiettivo, ma non
nell’immediato. Il programma di riforme dovrebbe invece associarsi,
inizialmente, a una crescita del deficit.
Fillon ha
probabilmente in testa di ottenere un effetto iniziale espansivo, almeno per i
primi diciotto mesi del suo (eventuale) mandato. I tagli di spesa saranno invece
quasi tutti posposti. Ammesso che non ci sia nel frattempo una ripresa
dell’economia così forte da ridurre il deficit pubblico senza porsi il problema
di effettuarli (i tagli) sul serio…
Eseguito così, il
programma di Fillon potrebbe non essere negativo come si presenta a prima vista,
soprattutto se l’espansione iniziale del deficit pubblico fosse rilevante –
almeno un punto percentuale per il 2017 e per il 2018. Se questa espansione di
deficit verrà attuata, non ho alcun dubbio che la commissione UE non muoverà un
dito per opporsi. E da Berlino si sentiranno pesanti mugugni, ma niente di più.
Preoccupante
rimane l’idea di aumentare l’IVA di due punti, intervento fortemente regressivo
e con impatti moltiplicativi sulla spesa privata che rischiano di essere pesanti.
L’aumento IVA andrebbe eliminato o quantomeno concentrato su tipologie di
prodotti e servizi di livello medio-alto e alto (in altri termini, quelli
acquistati da segmenti di popolazione che si accorgono poco o nulla degli incrementi
di prezzo).
Conclusione (molto
provvisoria): la presidenza Fillon potrebbe avere conseguenze economiche meno
deleterie di quanto attualmente si teme. Detto ciò, per risolvere gli squilibri
prodotti (alla Francia) dalle disfunzioni dell’Eurozona, servirebbe parecchio
di più di un punto di maggior deficit per diciotto mesi. E a questo dubito che si
arrivi.
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