giovedì 1 dicembre 2016

Euro-breakup ? rivaluta il marco, non svaluta la lira


Uno dei motivi di preoccupazione più infondati, nell’eventualità di una spaccatura dell’euro, è costituito dai presunti effetti negativi di una svalutazione della moneta italiana.

Ne ho parlato in più occasioni. Qui, per esempio, spiegavo che le ipotetiche difficoltà dovute a rincari delle materie prime sono pura fantasia. L’Italia è un’economia di trasformazione e dipende dall’estero per una serie di input produttivi. Ma le importazioni si pagano con l’export, o se questo è insufficiente con debiti esteri. La moneta sopravvalutata impone di riequilibrare i saldi commerciali con la compressione della domanda interna, oppure di indebitarsi in valuta forte ed emessa da terzi. Guai grossi, certo: ma sono, appunto, causati dalla moneta troppo forte, non dal suo riallineamento (che invece aiuta a risolverli).

Il nesso tra svalutazione e inflazione, a sua volta, è modesto, per non dire quasi inesistente nelle condizioni attuali. In presenza di una domanda molto inferiore alla capacità produttiva del sistema economico (com’è oggi) l’aumento dei prezzi degli input importati viene assorbito dalla compressione dei margini degli importatori, perché il mercato interno non regge aumenti di prezzi. I prezzi salgono solo se contemporaneamente si effettuano azioni espansive della domanda interna. Ma in aggiunta a ciò, l’inflazione parte solo dopo che si è significativamente ridotto il sottoutilizzo di capacità; e comunque i fattori chiave sono il rilancio della domanda e il riassorbimento dell’output gap, non la svalutazione.

Altro punto da tenere in considerazione è la possibilità, emettendo moneta nazionale, di attuare politiche di recupero di competitività, per esempio riducendo il cuneo fiscale sui costi di lavoro. Il che ridurrebbe, o eliminerebbe del tutto, la necessità di svalutare.

Ma prima ancora di preoccuparci degli effetti di un’ipotetica svalutazione della “nuova lira”, la domanda da porsi è: svalutazione contro chi ?

Studi recenti effettuati da varie organizzazioni, tra cui Morgan Stanley e il Fondo Monetario Internazionale, sono concordi su quanto segue.

In condizioni normali (cioè se tutte le principali economie mondiali fossero in situazioni sufficientemente toniche, senza alti livelli di disoccupazione) il cambio di equilibrio tra euro e dollaro sarebbe intorno a 1,25-1,30.

Ovviamente, uno dei principali e più noti problemi dell’euro è l’essere troppo forte per vari paesi, tra cui l’Italia, e troppo debole per altri, tra cui (principalmente) la Germania.

Il cambio di equilibrio (inteso come quello che in condizioni normali non creerebbe particolari problemi a nessuno: che sarebbe, in altri termini, compatibile con buoni livelli di occupazione in tutti i paesi, e con saldi commerciali in equilibrio) è stimato intorno a 1,10 per l’Italia e a oltre 1,40, qualcuno dice anche 1,50, per la Germania.

In caso di rottura dell’euro, quindi, la moneta italiana non dovrebbe necessariamente perdere ulteriore terreno contro il dollaro USA. La svalutazione contro dollaro è già avvenuta (oggi oscilliamo intorno a 1,06) soprattutto a causa delle politiche di Quantitative Easing che la Fed statunitense ha interrotto da tempo e che la BCE sta invece protraendo. E il motivo per cui le protrae è chiarissimo: dato che l’architettura dell’Eurosistema impedisce il rilancio della domanda interna, si cerca disperatamente di tamponarne le disfunzioni scaricandole sul cambio, e recuperando sull’export almeno un po’ della crescita che viene a mancare sul mercato domestico.

Un motivo in più per non preoccuparsi della svalutazione, quindi, è che la svalutazione c’è già stata: contro dollaro il livello attuale dell’ipotetica neolira non ha necessità di scendere ulteriormente. Tra l’altro è in dollari che si pagano le materie prime (che peraltro non arrivano dalla Germania, o dal Nord dell’Eurozona in genere).

E se la neolira non ha bisogno di svalutare contro dollaro USA, non l’ha neanche nei confronti del mondo non europeo – che viaggia su regimi monetari più o meno esplicitamente agganciati al dollaro, non certo all’euro.

L’eventuale breakup dell’euro non sarebbe una svalutazione della neolira, ma una rivalutazione del neomarco: il cambio medio ponderato dell’Italia nei confronti della totalità dei suoi partner commerciali cambierebbe ben poco.

Detto questo, la mia soluzione favorita, come noto a chi segue questo blog, non è il breakup né la svalutazione, ma la moneta fiscale parallela. Perché è molto più semplice da applicare sul piano tecnico-operativo. E perché sarebbe ben più agevole, ritengo, conseguire il necessario consenso politico.

Ma non sono certo le (inesistenti) problematiche di un’ipotetica svalutazione a preoccuparmi.


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