Appena
insediato, il governo Gentiloni si trova sul tavolo il dossier MPS, che in
effetti è un “di cui” di un problema più ampio – i fabbisogni di capitale del
sistema bancario italiano.
Il tema MPS è il
più imminente, ma nei prossimi mesi dovrà essere varato il riassetto di
Unicredit – in situazione meno critica, ma con dimensioni e necessità di
intervento potenzialmente maggiori. E rimane irrisolto il destino delle quattro
banche – Etruria, Marche, Carife e Carichieti - su cui si è intervenuti a fine
2015.
Il fabbisogno
complessivo potrebbe aggirarsi intorno a un massimo di 30 miliardi. Se non
andranno in porto le soluzioni di mercato su cui si sta (con molta fatica)
lavorando, sarà necessario un intervento pubblico. Gli accordi necessari con la
UE probabilmente verranno trovati: è di interesse generale che non si inneschi
una crisi sistemica.
E’ tuttavia
fondamentale attuare interventi che non creino effetti depressivi sull’economia.
Diversamente, la ripatrimonializzazione delle banche diventerebbe un “cerotto” di
breve termine. In poco tempo, probabilmente non molto più di un anno, i portafogli
crediti delle banche riprenderebbero a deteriorarsi e a riportare incagli e
sofferenze a livelli di allarme.
Occorre in primo
luogo evitare il bail-in di
correntisti e depositanti. Ed impedire che gli obbligazionisti subiscano
perdite ulteriori rispetto a quelle espresse dai valori di mercato correnti. In
pratica, evitare che ampi segmenti di risparmiatori subiscano un depauperamento
patrimoniale.
Ma è anche
indispensabile che, a fronte dell’intervento pubblico, non siano varate azioni
fiscali restrittive per “rientrare”, in parte o totalmente, dall’impegno
finanziario. Al contrario, tamponare i problemi delle banche ha senso se contemporaneamente
l’economia italiana “gira l’angolo” e si immette, finalmente, in un percorso di
crescita. Il che è ottenibile solo rilanciando domanda, PIL e occupazione.
Lo strumento
utilizzabile per raggiungere questi obiettivi è la cosiddetta Moneta Fiscale (MF): titoli che danno diritto a beneficiare di riduzioni d’imposta futuri (per
esempio, a partire da due anni dopo la loro emissione).
La MF permette
di abbinare la ricapitalizzazione del sistema bancario con il rilancio dell’economia,
secondo varie modalità. Ad esempio:
UNO, lo Stato
effettua una serie di interventi sulle banche per complessivi massimi 30
miliardi, e contemporaneamente emette MF nell’ambito di un programma che ne
vale altrettanti su base annua. La MF è assegnata gratuitamente per una varietà
di fini: sostegno ai redditi dei lavoratori, interventi di spesa sociale,
riduzione del cuneo fiscale delle aziende, cofinanziamento di investimenti
pubblici, ecc. Si verifica una rapida ripartenza di potere d’acquisto (perché
la MF ha valore fin dal momento dell’emissione, incorporando un diritto futuro
certo), domanda, occupazione e PIL. Cresce il gettito fiscale. Nel giro di un
paio d’anni, la ripresa economica compensa l’impiego della MF per beneficiare di
sconti fiscali (quando diventerà utilizzabile). E le quote che lo Stato ha
acquisito a seguito dell’intervento nelle banche saranno ricollocabili,
probabilmente senza perdite o addirittura con la possibilità di un utile,
grazie al recupero di valore che si assocerà alla ripresa.
DUE, lo stesso
schema può essere applicato con la variante che lo Stato non mette soldi nelle
banche ma garantisce un valore minimo (una put
option, in pratica) per l’investimento, che viene invece effettuato da operatori
di mercato. La ripresa dell’economia rende plausibile che la put option non sarà, in pratica,
esercitata.
TRE, lo Stato
ricapitalizza le banche comprando obbligazioni dagli attuali detentori, a un
valore che non li penalizza rispetto alle quotazioni correnti, e li paga con MF.
Converte poi le obbligazioni in capitale. Contemporaneamente effettua azioni di
rilancio della domanda come descritto al punto UNO.
Questi schemi d’azione
(utilizzabili anche in combinazione) limitano o evitano totalmente l’incremento
del debito pubblico e consentono, finalmente, il rilancio dell’economia e la
riduzione, progressiva e costante, del rapporto debito / PIL.
In generale, l’intervento
pubblico a sostegno di un sistema bancario in situazione problematica non deve
necessariamente essere oneroso per il contribuente. Ma per ottenere questo
risultato è indispensabile che si associ a interventi espansivi su domanda,
occupazione e PIL. E’ quanto si è constatato negli USA post-crisi Lehman, ma
anche in episodi passati quali la soluzione della crisi bancaria svedese dei
primi anni Novanta.
Se invece si
pretendesse di “compensare” l’impegno finanziario statale sulle banche con azioni
fiscali restrittive, il risultato sarebbe di stroncare la debolissima crescita
che l’Italia sta oggi faticosamente conseguendo, di ricreare a breve termine
problemi di insolvenze e sottopatrimonializzazione nelle banche, e di “bruciare”
il valore dell’investimento pubblico.
E' veramente deprimente notare l'irrisolutezza nel adottare soluzioni diverse da quelle di un sistema che ci stà portando tutti in un vicolo cieco. La maggioranza ha rieagito con il NO, speriamo che la stessa eserciti la propria sovranità nel non seguire l'imposto sistema.
RispondiEliminaL'opportunità saranno le prossime elezioni politiche. Inizio 2018 al più tardi, meglio se prima.
EliminaStefano Sylos Labini: Parte della spesa pubblica potrebbe essere corrisposta con i titoli fiscali in modo da liberare euro per finanziare le ricapitalizzazioni.
RispondiEliminaAnche. Le varianti possibili sono tantissime...
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